Kant e il diritto dello straniero a non essere trattato come un nemico
Nel famoso opuscolo intitolato “Per la pace perpetua”, originariamente comparso nel 1795, Immanuel Kant sostiene che per riuscire a disattivare la guerra non basta che la costituzione civile sia conforme al diritto civile e al diritto internazionale, poiché occorre anche che essa corrisponda allo ius cosmopoliticum, vale a dire a quel diritto che, pur non essendo facilmente traducibile in un apparato di norme positive, riconosce le condizioni dell’ospitalità universale. Con la precisazione davvero fondamentale, introdotta dal filosofo quasi per rispondere preventivamente a possibili obiezioni, che “qui non è in discussione la filantropia, ma il diritto”, sicchè l’ospitalità coincide con “il diritto di uno straniero a non essere trattato come un nemico”. Ciò significa che – attenendosi rigorosamente alle espressioni kantiane – “fino a quando [lo straniero] sta pacificamente al suo posto non si deve agire contro di lui in senso ostile”, perché egli può rivendicare quel diritto di visita che spetta a tutti gli uomini. Si può riassumere il principio sul quale si fonda l’impostazione ora enunciata nei termini seguenti: “originariamente nessuno ha più diritto di un altro ad abitare una località della terra”.Molto significativa è anche la sottolineatura posta a commento di questo passaggio, quando Kant rileva che ciò che semmai va denunciato, e severamente condannato, è l’atteggiamento col quale il “diritto di visita” è concretamente esercitato non dagli stranieri che giungono nelle nostre terre, ma piuttosto da quelli che abitualmente chiamiamo gli “Stati civili”. Difatti, la condotta che essi assumono allorchè visitano i paesi e i popoli stranieri (visite che essi immediatamente identificano con la conquista), è “tale da rimanere inorriditi”. Da un lato, insomma, al diritto di ospitalità, si corrisponde con l’inospitalità; dall’altro, ci si abbandona ad ogni forma di ingiustizia, allorchè si entri in rapporto con le popolazioni di paesi lontani.

Il rovesciamento del punto di vista comune, per quanto riguarda il rapporto tra paesi cosiddetti “civili” e paesi extraeuropei, non potrebbe essere più netto. Mentre, infatti, l’obbligo che gli abitanti di questa parte del mondo dovrebbero avvertire, nei confronti di chi giunga come straniero, è di “non agire verso di lui in senso ostile”, a loro volta essi dovrebbero modificare profondamente la propria condotta quando visitano località e genti di altri continenti, con lo scopo prevalente di trarre spregiudicatamente profitto economico da queste trasferte, spesso fomentando conflitti e guerre sanguinose.
La conclusione del ragionamento kantiano ribadisce con forza i motivi, per i quali l’ospitalità universale deve essere considerata uno dei pilastri imprescindibili per il conseguimento della pace perpetua. Con “la comunanza tra i popoli della Terra”, vale a dire con un fenomeno che il filosofo coglie ancora allo stato nascente, e che invece oggi è pienamente dispiegato nella forma di quel processo che chiamiamo globalizzazione, “si è arrivati a tal punto che la violazione di un diritto commessa in una parte del mondo viene sentita in tutte le altre parti” Di qui la conseguenza logicamente necessaria, secondo la quale l’idea di un diritto cosmopolitico non appare più come un tipo di rappresentazione chimerica ed esaltata del diritto, ma come necessario completamento del codice non scritto. Sono trascorsi più di due secoli dalla pubblicazione dello scritto kantiano. Ed è perfino incredibile che i temi centrali chiariti dal filosofo – il diritto dello straniero a non essere trattato come un nemico, il fatto che nessuno ha originariamente più diritto di un altro ad abitare una terra, il comportamento “incivile” degli Stati sedicenti civili quando. entrano in rapporto con altri paesi, la giustizia come presupposto per la pace – siano oggi pressochè totalmente ignorati. Un oblio che già è, e potrebbe ancor di più diventare, fonte di sviluppi molto pericolosi.
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