Juve out: misero esito
d’un complesso
di superiorità
L’agonismo, la “garra” (letteralmente: artiglio, ma anche determinazione, rabbia, termine spesso usato per i calciatori uruguaiani) non solo si possono ma si devono allenare. Questa Juventus che per l’ennesima volta piglia, pesa, incarta e porta a casa una débâcle in Champions, di agonismo e garra aveva un deficit conclamato da mesi e i bei soldi che arrivano puntali, non sempre e non per tutti e in ogni situazione hanno un valore vitaminico. E per fortuna che il Lione quasi non aveva più disputato match ufficiali causa Covid. Tutto qui? Un bel processo a Sarri e una facile sentenza con annesso esonero non bastano. Intanto, perché era stato arruolato Sarri? Per godere finalmente, dopo Allegri, di una Coppa frutto di gioco fluido, mandato a memoria, con reparti stretti, difesa a quattro, giro veloce della palla, ritmo. Un’idea di calcio obliterata per primo dall’allenatore e per sua stessa candida ammissione: Sarri si è adattato alla Juve in nome del pragmatismo, del risultato, degli obiettivi. Sarri senza sarrismo: una strana creatura, un fallimento annunciato. E va bene. Ma non basta ancora.
Stipendi astronomici
La società bianconera – quotata in Borsa, qualche portafoglio piangerà – ha un monte stipendi astronomico, frutto di mercati in entrata basati su un’idea forte di marketing globale (Cristiano Ronaldo) e meno solida a livello tecnico (bisogna vincere subito). Quale il senso di giocatori dall’alto ingaggio e non poco usurati (Ramsey), altalenanti (Rabiot), perennemente in mezzo al guado (Bernardeschi)? La stagione juventina che si è appena impietosamente conclusa segnala pure un Pjanic in partenza (Barcellona) via via opacizzato, un Chiellini all’ammazzacaffè, un Rugani non proponibile a certi livelli, un Higuain da Sunset boulevard, un Matuidi in via di decomposizione. Poca roba per dare l’assalto al cielo. Note positive: la crescita di Bentancur e l’arruolamento di De Ligt, potenzialmente un frangiflutti di livello europeo. Due nomi che sanno di programmazione e futuro. Ronaldo il suo l’ha fatto, tranne che sui calci di punizione, diventati disastrosamente suo appannaggio (appena un gol, su millanta tentativi: segno che a parole, nelle dichiarazioni ai giornali, la squadra è quello che conta e uno vale uno ma lui pesa il triplo e non sempre è un bene, nell’alchimia del football).
Ci sarebbe poi Dybala, arrivato rotto al match col Lione. Quest’anno ha lasciato negli occhi pennellate di classe pura, è un “10” per cui si paga volentieri il biglietto. Ricordiamoci tutti che alla Juventus stavano per venderlo. Una scelleratezza che nessun direttore sportivo, salvo problemi drammatici di cassa, si sognerebbe anche solo di pensare, a meno di non voler prenotare una bacheca personale nel Museo del Crimine Calcistico.
Tempo di ribaltoni
Il “potenziale umano”, almeno per evitare figuracce in Campionato e Champions c’era. Oltre il risultato, però, nel calcio contano, altre cose. Un sentire di squadra, il coraggio, la coesione, il famoso amalgama. “Presidente, al Catania manca l’amalgama”, risposta del leggendario presidente del Massimino: “Ditemi dove gioca e io lo compro”. Giusto un ingrediente prezioso che non si acquista, ma si costruisce, si pensa e si concretizza col lavoro. Dove pensavano di arrivare in Champions, una volta semi-garantito lo scudetto (peraltro insidiato troppo poco da un’Inter solidissima arrivata tardi a credere in se stessa e da una Lazio dotata di una rosa non adeguata alla bisogna), con un pregresso non certo allenante di partite stenterelle, giocate a pizzichi e bocconi, talvolta condotte, magari dopo un buon avvio, con un superiority complex autolesionista, irritante, ingiustificabile?
Nel calcio non ci sono pratiche da sbrigare, ci sono dure partite da tornire con intelligenza tattica, qualche buon schema, una condizione soddisfacente e la ben nota intensità sacchiana. Questa Juventus non era né pronta né psicologicamente allenata per un dentro o fuori e lo aveva mostrato in Supercoppa con la Lazio e in Coppa Italia col Napoli. Immaginarsi esiti diversi era difficile, a parte la torcida dei tifosi più fideisti. Alla Juventus Football Club SpA adesso è tempo di ribaltoni. Chissà se un gentiluomo come Marotta ha imparato a godere dei disastri altrui.
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