Turchia, Italia ed Europa
avvocati in campo
contro le repressioni
Proprio mentre si scalda ancor più lo scontro diplomatico tra Roma ed Ankara acceso dal duro giudizio esporesso da Mario Draghi sul “dittatore Erdoğan” e la rozza risposta del presidente turco, si moltiplicano le denunce sulle repressioni della dissidenza. Ebru Timtik, avvocata e attivista di origine curda, impegnata nella difesa dei diritti umani, il 27 agosto scorso è morta in carcere dopo 238 giorni di sciopero della fame. A settembre altri 55 avvocati sono stati incarcerati con l’accusa di terrorismo. Questi casi dimostrano come in quel Paese la “mancanza di indipendenza della magistratura, avvocati incriminati per terrorismo per il solo fatto di aver parlato con i clienti, arresti e detenzioni illegittime – si legge in una nota diramata dall’Organismo Congressuale Forense – siano solo alcuni degli elementi denunciati nel Rapporto sull’Avvocatura in Turchia realizzato da OCF e MGA, Sindacato Nazionale Forense. Il 6 e 7 aprile scorsi, sono stati a Istanbul dei loro osservatori, per seguire i processi contro alcuni colleghi turchi: fra gli imputati anche Barkin Timtik, sorella di Ebru.
Secondo gli stessi osservatori, “per molti avvocati le imputazioni sono di appartenenza all’organizzazione terroristica PKK ed apologia contro l’unità dello Stato”. Sotto accusa è la loro attività politica e professionale; le prove a carico, “rapporti della polizia, intercettazioni, fotografie che collegano gli avvocati a luoghi di manifestazioni, oppure alle visite in carcere ai clienti o ancora all’esposizione delle linee difensive nei procedimenti che vedevano i loro clienti imputati”. In poche parole, le condotte degli avvocati sono equiparate a quelle dei loro assistiti, anche per il solo fatto di averli visitati in carcere o per le difese esercitate durante il procedimento.
A rappresentare l’Italia a Istanbul, con due colleghe svizzere, quattro francesi e due spagnoli, è andata l’avvocata penalista Francesca Pesce, direttrice del Dipartimento diritti umani di Mga, promotrice nei mesi scorsi di uno sciopero della fame a staffetta in segno di solidarietà verso i colleghi turchi. Pesce ci ha informati che “il 7 aprile scorso, prima dell’inizio dell’udienza del processo denominato CDH II, la delegazione internazionale ha avuto modo di parlare con un membro del consiglio dell’ordine degli avvocati di Istanbul, il quale ha più volte ribadito come la mancanza di indipendenza della magistratura, frutto delle azioni politiche e legislative degli ultimi anni, rappresenti il vero problema in Turchia, specie per gli avvocati, chiamati a rispondere di reati di terrorismo o attentato all’unità dello Stato in ragione del ruolo difensivo svolto”. La campagna mediatica e la repressione giudiziaria contro l’avvocatura, secondo la penalista italiana, vengono da lontano, ancora prima del 2017, quando la Commissione di Venezia – organismo di esperti in diritto costituzionale del Consiglio d’Europa – aveva avvertito l’istituzione comunitaria sul rischio di un’involuzione verso un regime autoritario in Turchia.
“Una situazione allucinante – commenta il Coordinatore dell’OCF Giovanni Malinconico nella stessa nota– per cui il Governo italiano e le istituzioni europee dovrebbero prestare massima attenzione. Le voci di denuncia devono moltiplicarsi, se non altro per aiutare la società civile turca che di questa repressione continua è vittima, ed è per questo che oggi aggiungiamo anche la nostra al coro delle proteste”.
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