Iran, proteste in stallo: è scontro ai vertici del regime
È possibile che sia solo una situazione di stallo temporaneo, ma nell’ultimo mese si registra un deciso calo delle proteste in Iran. La tendenza evidenziata da Foreign Affairs, che sottolinea come ormai le manifestazioni nelle ultime settimane siano “isolate e superficiali”, è confermata dai dati diffusi dal Critical Threats Project, sito dell’American Enterprise Institute che fornisce aggiornamenti quotidiani su quanto accade nel Paese degli ayatollah. Le informazioni restano peraltro scarse e frammentarie. In questi giorni Iran International ha pubblicato alcuni video apparsi su Instagram di diverse iniziative a Teheran: se si esclude l’incendio di un enorme cartellone pubblicitario governativo non si tratta di proteste paragonabili a quelle documentate nei primi mesi dell’insurrezione.
Un inaspettato calo delle proteste
L’ultima iniziativa contro il regime di una certa rilevanza risale all’8 gennaio quando in sedici città di dodici province sono state contate ben ventritré manifestazioni per commemorare le vittime dell’abbattimento, tre anni fa, di un aereo di linea ucraino. Un incidente causato dai pasdaran – per loro stessa ammissione – durante i bombardamenti di postazioni Usa in Iraq per rappresaglia contro l’uccisione del comandante della Quds Force dei pasdaran, Qassem Sulemaini. Da allora solo sporadiche mobilitazioni in alcuni centri del Paese al ritmo di due o tre, al massimo quattro, al giorno. L’unica protesta di un certo spessore, il 17 gennaio, ha visto protagonisti in sei città non donne e giovani, ma soprattutto lavoratori e pensionati che manifestavano contro ritardi nei pagamenti e lamentavano la crescita esponenziale dell’inflazione. A vuoto anche alcuni, peraltro improbabili, tentativi di mobilitare la piazza in nome della dinastia Pahlavi, mentre per ben due giorni di seguito – l’11 e il 12 gennaio – non si è registrata alcuna attività contro il regime: non era mai successo dall’uccisione di Mahsa Amini, lo scorso 17 settembre.
Difficile capire cosa stia accadendo in questi giorni in Iran. Si sa che diversi appelli alla mobilitazione sono sicuramente falliti, ma non è chiaro se per divisioni interne agli organizzatori o per carenze nel coordinamento. D’altro canto si può anche immaginare che la violenta repressione attuata dal regime, con condanne a morte e impiccagioni, possa aver frenato molti manifestanti. Alcuni osservatori hanno anche ipotizzato una sorta di ‘crisi di crescita’ di un movimento spontaneo e acefalo che tenta di riorganizzarsi in modo più strutturato: in altri termini, la protesta sarebbe arrivata al culmine delle sue attuali possibilità e punterebbe a nuove forme di mobilitazione nei prossimi mesi.
Verso una fase di transizione?
Una delle poche voci che continua a levarsi, costante, ogni venerdì, contro il regime è quella di un anziano esponente sunnita. L’imam Moulana Abdolhamid infiamma i fedeli nel giorno di preghiera tutte le settimane da Zahedan, capitale del Belucistan ai confini col Pakistan. I suoi attacchi agli ayatollah sono iniziati lo scorso 30 settembre quando, nel corso di una delle prime manifestazioni in nome di Mahsa Amini, sono stati uccisi in un solo giorno oltre novanta sunniti in quello che viene da allora chiamato il “venerdì di sangue”. Nei suoi sermoni, Abdolhamid incoraggia i giovani che protestano, bolla come illegittime le condanne a morte dei manifestanti e difende le donne “umiliate e private di tutto”. I pasdaran avrebbero voluto arrestarlo subito. La guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, ha imposto prudenza per il timore di radicalizzare ancor più la protesta: “Meglio screditarlo che imprigionarlo”, avrebbe suggerito.
L’imam sunnita non fa dunque paura più di tanto al regime e neppure i lavoratori che scendono in piazza solo in modo saltuario, mentre i movimenti animati da donne e studenti sembrano nella migliore delle ipotesi in una fase di riorganizzazione. I segnali sono quelli di un esaurimento – probabilmente solo momentaneo – della forza propulsiva che ha animato l’insurrezione iraniana o, perlomeno, di una fase di stallo. Ma se anche così fosse, è indubbio che le proteste hanno messo alla luce il profondo divario tra il popolo e il clero sciita innescando dinamiche interne al sistema, anche per quanto riguarda la lotta per il potere, dall’esito al momento difficilmente prevedibile. Attualmente non sembra vi siano le condizioni per un cambio di regime a Teheran ma è possibile che, in un futuro abbastanza prossimo, dai rivolgimenti degli ultimi mesi possano trarre vantaggio i pragmatici pasdaran a discapito degli esponenti del clero sciita, sempre più anziani e screditati. In pratica sarebbe in atto – come messo in evidenza da alcuni osservatori – un processo di transizione del potere tra la prima e la seconda generazione della Repubblica islamica. Un processo che la terza generazione potrebbe aver accelerato con le proteste degli ultimi mesi dal quale però, per il momento, rimarrebbe purtroppo esclusa.
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