Iran, l’America first che umilia l’Europa
Trump denuncia l’accordo sul nucleare iraniano, seppellendo un altro pezzo dell’eredità di Obama, la bussola che segna la rotta della sua amministrazione. Volta le spalle all’Iran, mette in difficoltà i “moderati” di Teheran e inasprisce le tensioni regionali, in un’area dove davvero non si avverte la necessità di ulteriori conflitti. E’ la sua versione dell’America first, promessa in campagna elettorale e ora – con tutti i cambi di pedine al vertice (il segretario di Stato Rex Tillerson, il consigliere per la sicurezza McMaster, il consigliere economico Gary Cohn) – sostenuta anche dalla nuova guardia insediata dal presidente: con Mike Pompeo agli esteri e John Bolton consigliere alla sicurezza nazionale oggi la sintonia è totale, non ci sono più grilli parlanti a disturbare le scelte della Casa Bianca. Il secondo anno di presidenza di Trump si annuncia come il passaggio dall’era dei tweet contraddittori ad un’operatività in grado di condizionare a lungo la politica Usa.
Per l’Europa, che conta tra i firmatari dell’accordo con Teheran Francia, Regno Unito e Germania, a questo punto diventa ineludibile una domanda: fino a che punto, in nome di una storica alleanza, è disposta a incassare colpi dagli Stati Uniti di Trump? La rottura dell’accordo, che sarà stato anche imperfetto ma aveva il merito quanto meno di rinviare l’accesso dell’Iran all’arma atomica e di stabilire una linea di comunicazione, è per i partner europei l’ennesima umiliazione. Ne scrive in questi termini il New York Times, “uno schema umiliante”, ricordando i ripetuti tentativi di persuasione esercitati dai leader europei, e non solo su questo terreno. Trump ha deliberatamente sbattuto la porta in faccia all’Unione europea stracciando l’accordo di Parigi sul clima (e passi che per tecnicismi non potrà uscire formalmente prime del 2020, intanto ha sbriciolato le norme per la riduzione delle emissioni). Ha annunciato dazi su acciaio e alluminio di produzione europea, salvo concedere una dilazione che scadrà comunque il prossimo 1° giugno, vedremo in futuro quale sarà il suo punto di caduta. Ha deciso di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme, infischiandosene degli appelli alla cautela arrivati dalla Ue.
L’accordo stracciato con l’Iran avrà ricadute per l’Europa, che dall’intesa siglata nel 2015 aveva approfittato del graduale ritiro delle sanzioni economiche. L’anno scorso l’export europeo in Iran ha sfiorato gli 11 miliardi di euro, con un aumento di un terzo rispetto al periodo precedente: non sono cifre da capogiro, sono comunque qualcosa. Airbus France da sola aveva firmato la vendita di 100 aerei che avrebbero dovuto rinnovare la letteralmente cadente flotta iraniana.
I firmatari europei dell’accordo sul nucleare hanno annunciato l’intenzione di rispettare l’intesa, lunedì prossimo è previsto un incontro tra i rappresentanti di Francia, Germania, Regno Unito e Iran, per vedere come e quanto si può salvare degli impegni presi. Il punto è anche capire se e come gli europei sapranno tutelare le loro imprese che si troveranno a breve – tra i tre e i sei mesi, queste le indicazioni filtrate dall’amministrazione Usa – a fare i conti con le sanzioni americane.
Al di là dei singoli contratti e delle opportunità di mercato mancate, però, l’interrogativo maggiore per l’Europa è come intenda andare avanti con Trump. La linea del mano nella mano – ricordate Macron in visita alla Casa Bianca – non sembra aver portato lontano. E’ evidente che almeno in questa fase, con questa amministrazione, gli interessi dell’Europa e degli Stati Uniti non siano più allineati. Si può continuare a far finta di niente – per mancanza di idee o di alternative – infilando la testa sotto la sabbia in attesa del prossimo presidente, o prendere atto che le strade divergono e cogliere l’opportunità per definire una propria politica internazionale, che poi è una faccia della propria identità.
Nel caso specifico dell’Iran, l’interesse europeo è la non proliferazione di armi nucleari in una regione sensibile, per di più non così lontana da casa nostra. Gli Stati Uniti puntano invece ad un cambio di regime. Facile immaginare che i falchi iraniani non possano che avvantaggiarsi della posizione Usa, per Rohani si annuncia una fase difficile. L’ayatollah Khamenei, Guida suprema dell’Iran, ha ricordato: “L’ho detto dal primo giorno, non credete all’America”. Sicuri che questi possano essere interlocutori migliori di Rohani?
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