Il neo-ministro Manfredi: “Il futuro non è un salto nel buio, lo Stato deve orientarlo con la cultura e la scienza”

(L’intervista è stata pubblicata su Infinitimondi del 16 dicembre, prima della nomina di Gaetano Manfredi a ministro dell’Università e ricerca).

Università, alta formazione, ricerca: dal tuo osservatorio di Presidente della Conferenza dei rettori delle Università italiane, al secondo mandato addirittura, qual è il bilancio sulla loro collocazione nel paese, su quanto sia forte la consapevolezza del loro carattere centrale da tutti i punti di vista: sociale, economico, competitivo, culturale, democratico…?

“Purtroppo, il mondo dell’università e della ricerca in Italia non è centrale come invece dovrebbe, come invece è in altri Paesi avanzati, a cominciare dagli altri Paesi europei. Lo stato investe meno di quanto dovrebbe in università e ricerca e le imprese fanno lo stesso, per ragioni legate anche alla struttura del nostro tessuto produttivo. Da ciò discendono alcune delle criticità sociali ed economiche, ovvero il basso numero di laureati, l’incapacità di trattenere i migliori cervelli, l’incapacità di esprimere significative leadership mondiali negli ambiti scientifici e tecnologici più importanti. Ovviamente godiamo comunque di un’elevata qualità dei nostri ricercatori e delle nostre strutture di ricerca, che dobbiamo però alimentare e non logorare col perdurare di un sotto finanziamento del sistema universitario che va superato”.

Sud-emigrazioni-sistema dell’alta formazione. Cosa c’è che non va? Il disegno dell’Autonomia differenziata si presentava come una clava sia sul Mezzogiorno che sull’idea stessa di unitario sistema di ricerca. Dal tuo Ateneo è partito un documento importante. Se dovessi dire al Governo da poco insediatosi, che diresti. Anzi, che dirai?

“L’autonomia differenziata è una politica che può rivelarsi alla lunga molto pericolosa per il mezzogiorno, alimentando ed aggravando le crisi economiche e sociali delle nostre regioni. Ed il sistema universitario nei fatti ne ha già verificato gli effetti attraverso una politica in corso da diversi anni che punta a ridefinire le risorse distribuite tra i vari atenei. Gli atenei del mezzogiorno da diversi anni ricevono sempre meno risorse, in virtù di riequilibri legati ai costi per studente, alla qualità della ricerca, in generale all’efficienza. Ma malgrado ciò non pochi atenei, tra cui quelli campani, sono stati comunque in grado di avere buone performance e godono oggi di buona salute, grazie a politiche oculate di reclutamento che hanno premiato il merito e l’eccellenza. Molti atenei invece soffrono condizioni economiche critiche.

Il governo però dovrebbe una volta per tutte riconoscere che le università con le loro attività sui territori posseggono leve importantissime per rilanciare socialmente, culturalmente ed economicamente le aree più svantaggiate del nostro territorio. E lavorare con quelle leve. Le università, se messe in condizioni di operare, possono costruire qualità sociale nelle nostre comunità, accompagnare le imprese con l’innovazione e la ricerca, ridefinire con insediamenti qualificanti le aree urbane depresse e degradate. Ma per fare ciò occorrono risorse”.

Quanto è fondamentale questo tema. Peraltro, siamo in presenza di una riarticolazione degli equilibri e delle strategie mondiali, cambiano gli assetti di potere e geopolitici, nel mondo multipolare che si disegna i giganti sembrano essere Usa e Cina, con a ruota Russia: e uno dei terreni di scontro privilegiato, di contesa è proprio quello della ricerca, dell’innovazione, del mondo digitale, con algoritmi e Big Data, dell’IA, fino alla ingegneria genetica versus epigenetica e alla geoingegneria versus agroecologia… e l’Europa , cioè l’unico modo per esserci, pesare, sembra non esserci. Fa una certa impressione vedere i nomi di alcuni dei protagonisti mondiali di questa contesa…

“Lo sviluppo tecnologico è ormai capace di ridisegnare nel giro di pochi anni le società, la qualità della vita delle persone, il valore economico degli insediamenti produttivi, e lo fa con cicli di rigenerazione sempre più brevi. Governare questi cicli di innovazione ed essere in grado di indirizzarli è sempre più importante. Purtroppo, però l’Europa è fuori da molti di questi driver di innovazione e non riesce ad incidere. Ancor di più l’Italia che subisce queste trasformazioni come totalmente esogene, e con rassegnazione. Ancora una volta, a livello nazionale ed europeo la chiave è investire in conoscenze, ovvero nella formazione e nella ricerca. L’Europa prova a farlo con il prossimo programma quadro Horizon Europe, l’Italia non sembra percepire il problema”.

Vorrei ragionare con te su alcuni aspetti di fondo della nostra contemporaneità. Siamo in presenza di due fenomeni che probabilmente si alimentano vicendevolmente. Da un lato un ritorno a forme di oscurantismo, di negazione del valore della scienza, di moderne superstizioni perfino e di vulgate liquidatorie che trovano proprio nella diffusione della Rete alimento a canali di diffusione. Dall’altro lato l’esplosione di una vera e propria yubris, di una idea di scienza senza confini, senza limiti, onnipotente, la potenza tecnologica.

“Se non c’è cultura, non c’è formazione, non si percepisce il valore della conoscenza; e la scienza si allontana e non è compresa dai singoli. Ma se il ritmo della produzione scientifica in termini di conoscenza ed innovazione è di per sé sempre più veloce, la scienza allora si allontana ancor di più. Ed ecco spiegati i due fenomeni. Da un lato la scienza sembra senza confini, onnipotente, dall’altro si aprono spazi per le forme di oscurantismo e di negazione del valore della scienza”.

Faccio difficoltà a non vedere questa dinamica in processi più di fondo. Del resto c’è una ‘storicità’ della scienza che la fa anche espressione di determinate condizioni storiche, di determinati rapporti di forza e di potere all’interno della società. Ti ripropongo un tema caro a Marcello Cini che in un’intervista del gennaio 2007 disse: “ La scienza non è disinteressata ma anzi fortemente orientata dal mercato a fare le cose più redditizie e più immediate. E molto meno allo studio dei problemi a lunga scadenza… come la salute dei poveri e i disastri dell’ambiente… Adesso è il mercato e quindi il profitto, l’unico motore e direttore della scienza. Sarebbe bene che riacquistasse la sua autonomia”. Ecco, in questa epoca nella quale di fronte al gigantismo del tutto ( impresa, finanza, tecnologia) e di fronte alla frantumazione/solitudine dell’individuo tecnologico, c’è anche una dimensione sociale, sottratta ad ogni logica di profitto, di diffusione della conoscenza, di rafforzamento di una visione aperta del sapere e non sequestrata dalle logiche del profitto, in che modo l’Università come tutto il sistema del sapere pubblico si lasciano interrogare da queste dimensioni?

“Il gigantismo dell’impresa, della finanza, della tecnologia va contrastato dallo Stato. In un’epoca in cui i grandi player tecnologici hanno disponibilità economiche confrontabili con quelle degli stati, il decisore pubblico deve orientare il corso dell’innovazione tecnologica e della scienza, per non lasciare indietro proprio la dimensione sociale. C’è bisogno anche e soprattutto dell’innovazione e della scienza per superare le grandi crisi sociali del nostro tempo”.

Due esempi concreti. Ambiente e Salute. Un piattaforma pubblica al servizio delle comunità, del lavoro autorganizzato, dell’open source, della valorizzazione circolare del sapere? Le metropoli si stanno organizzando come spazi di promozione di uno sviluppo dell’uso della Rete, di titolarità nei Dati e nella loro Gestione e Valorizzazione in chiave di Beni Comuni, di Socialità, di Democrazia e di Sovranità. Barcellona ma anche New York, Ottawa, Londra, Parigi… e c’è Napoli. Quale modello si affermerà, quello della estrazione di ricchezza e di valore nel controllo dei dati o quello sociale. Ambiente: economia circolare, uso ottimizzato dei fattori energetici, lotta agli sprechi, autoproduzione energetica in diffusi piccoli impianti ma gestione poi comune e sociale dell’insieme… Salute. Fa rabbrividire: in Inghilterra hanno affidato sperimentalmente a Google la gestione dei dati sanitari di 1.6 milioni di cittadini: un enorme Big Data da cui trarre tendenze e traiettorie per le condizioni di salute, l’esigenza di azioni preventive fino allo sviluppo di modelli predittivi… In mano a chi andrà tutto questo? Non c’è qui un ruolo per un Pubblico sempre più Sociale e Comune da valorizzare? E in questo, non c’è anche un ruolo grande per il sistema pubblico della ricerca e dell’Alta Formazione. San Giovanni e Polo Occidentale ( Ingegneria, Città della Scienza, Bagnoli ), su questo un grande Progetto, connesso con Comune/ Comuni, Regione: una Piattaforma base per lo sviluppo di Servizi e di Applicazioni che magari oggi non possiamo neanche immaginare che valorizzino le idee innovative dei nostri studenti e giovani e si traducano in esperienza di impresa e di lavoro? Insomma, un’altra idea della Smart City…

“Le smart city del futuro vanno ancora costruite. Ci sono molte innovazioni tecnologiche, molte sperimentazioni che si candidano a riconfigurare molti dei servizi erogati e delle attività condotte nelle nostre città. Ma non esiste e non esisterà ancora per molto tempo un modello unico. Anche perché non esiste per fortuna una omologazione diffusa dei sistemi urbani a canoni di funzionamento uguali. Ogni città ha le sue esigenze e le sue peculiarità. C’è quindi spazio per lavorare e costruire una via nuova ai sistemi digitali nelle città. E le sinergie dei centri di ricerca con le amministrazioni locali possono sicuramente costruire esperienze positive, che guardino alla qualità della vita dei cittadini, alla sostenibilità sociale ed ambientale delle trasformazioni urbane, al benessere delle comunità. A Napoli ci sono tutte le condizioni per lavorare bene in questa direzione”.

All’epoca delle distopie, rinasce l’esigenza di pensieri altri, di altre traiettorie che sono possibili proprio perché il presente non rappresenta una traiettoria naturale e immodificabile ma è l’espressione di un processo, di una storicità che rimanda all’uomo, alla sua capacità di azione, a concreti rapporti di potere…In altre parole, te la dico usando quelle di Aldo Masullo – e ho detto tutto – rilasciata a Infinitimondi nel settembre del 2019: “Uno dei momenti decisivi nella storia dell’epistemologia contemporanea è quello in cui, soprattutto grazie alla fisica del ‘900, siamo passati da una concezione deterministica della realtà ad una probabilistica. La scienza scopre nei processi evolutivi la presenza di rotture e salti che io, in un libro del 1995, suggestivamente chiamai “grazia”. La realtà si fa per eventi talvolta imprevedibili, che rompono catene di fattori da cui sembrava impossibile liberarsi. Questa è la buona ragione negativa per considerare possibile decidere sul fronte. La buona ragione positiva è il coraggio. Bisogna avere il coraggio di non avere paura. Occorre sempre contare sulle occasioni. Purtroppo molti si danno da fare per impedire ogni iniziativa. Impegnarsi per agire sul futuro è invece la forza della giovinezza”. Ma non è questo il terreno di Scuola e Università pubblica?

“La realtà che viviamo, fatta di sistemi digitali ed ibridazione della dimensione sociale con quella tecnologica, non era prevedibile solo 20 anni fa. Abbiamo quindi continuamente contatto con l’evidenza che la storia salta, non striscia, per dirla con Taleb e la sua teoria dei cigni neri. Bisogna quindi effettivamente avere il coraggio di non avere paura. Non avere paura del futuro, che non è però un salto nel buio, qualcosa che ci piomba addosso, ma che non esiste ancora e va costruito. Ed in questo ancora una volta la conoscenza, la cultura, la scienza sono indispensabili. Per illuminare quel buio, ed aiutarci a costruire, non seguire, la strada giusta”.