Insubordinazione e irresponsabilità, effetti collaterali del virus
Mettiamo uno dietro l’altro alcuni episodi degli ultimi giorni. Più o meno importanti, più o meno gravi ma tutti sintomi di una brutta malattia che sta dilagando insieme con il virus assassino.
Primo episodio. Il presidente del Veneto Luca Zaia annuncia che la sua regione ha pronti i contratti per comprare 27 milioni di vaccini sul mercato libero: 12 milioni da un mediatore, 15 milioni da un altro, tutti e due rigorosamente anonimi. I dirigenti della Lombardia vorrebbero fare lo stesso pure se, notoriamente meno efficienti, sono più indietro nella trattativa. Si tratta di operazioni illegali perché il governo italiano si è impegnato – cioè ha impegnato tutta l’Italia di cui le regioni fanno parte – a rifornirsi presso le aziende produttrici sulla base di contratti stipulati dall’Unione Europea e perché le aziende stesse si sono impegnate a rifornire con i loro prodotti solo gli stati. Ne consegue che o le aziende barano e si tengono scorte di vaccini da vendere ai privati a prezzi di mercato (cioè molto alti), oppure che i mediatori offrono merce che legalmente non potrebbero avere e sono quindi dei truffatori. Tertium non datur.
Oltre che illegale l’acquisto di un bene così prezioso ed esclusivo su un mercato diciamo così “parallelo” è immorale, giacché l’attivazione di un meccanismo di domanda e offerta libere non può che far lievitare i prezzi, aggravando sul mercato mondiale le già drammatiche difficoltà dei paesi più poveri.
Immoralità
Si rende conto Zaia della illiceità e dell’immoralità dell’operazione della quale si vanta in tv, in rete e sui giornali? Forse sì, forse no, ma il problema non è tanto lui quanto tutti gli altri. A parte qualche voce di sgomento (per esempio quella del virologo Andrea Crisanti) l’annuncio del presidente veneto è stato accolto in generale come se si trattasse di una prodezza, l’ennesimo colpo d’ala d’un politico geniale vicino alla “sua gente”, non come quegli incapaci dei vicini lombardi che non combinano niente di buono e affogano nelle gaffe. Deve preoccupare di più il fatto che un presidente di Regione compia un atto condannabile, oppure il fatto che nessuno (o quasi) lo condanni?
Secondo episodio. Qualche giorno fa, i conduttori di un programma molto seguito che va in onda su Rai Radio Due hanno invitato quello che hanno definito come un “guru delle criptomonete”. La materia, come si sa, è molto complessa: le monete virtuali stanno conquistando posizioni sempre più forti e quando la trasmissione è andata in onda era viva l’eco del gigantesco investimento in bitcoin del padrone della Tesla Elon Musk, santificato come il genio innovatore della finanza mondiale.
Benissimo. Dai giornalisti che conducevano la trasmissione ci si sarebbe aspettati però che, oltre a sollecitare il guru a spiegare come e perché converrebbe investire in bitcoin (e soprattutto come si fa), raccontassero agli ascoltatori l’altra faccia della medaglia, che è molto meno rutilante. Le criptomonete, oltre che essere l’oggetto di tentazione per pericolose speculazioni finanziarie (cui sarebbe meglio non indurre il grande pubblico) sono uno degli strumenti preferiti per far arrivare senza rischi capitali da ripulire nei paradisi fiscali. E non si tratta solo di evasione: i bitcoin sono la moneta in cui chiedono di essere pagati i gruppi criminali che si dedicano ai ricatti telematici. Quelli che entrano nei sistemi delle aziende (ma possono farlo anche con i privati), bloccano tutto, si impossessano dei dati sensibili e poi chiedono un riscatto per rimediare ai danni. Si tratta di una vera e propria mafia in grado di imporre il “pizzo” a un numero sempre crescente di imprese, anche molto importanti.
Si rendono conto i programmisti e i conduttori della Rai della pericolosità di un’informazione condotta in modo diciamo così un po’ sbarazzino su un tema delicatissimo e molto complicato come gli investimenti in criptomoneta?
Disobbedienza civile? Proprio no
Il terzo episodio è di queste ore. Il blocco degli impianti sciistici era sicuramente indispensabile data la situazione dei contagi e la preoccupante diffusione delle cosiddette varianti. Si può criticare il fatto che l’annuncio sia arrivato troppo tardi mettendo in ulteriori difficoltà gli operatori del settore che se avvertiti con maggiore anticipo avrebbe forse potuto limitare i danni e c’è anche chi discute il principio stesso delle chiusure di attività, ma non c’è alcun dubbio sulla legittimità del provvedimento. Perché, allora, viene considerata come una “normale” forma di protesta il fatto che in una valle del Piemonte seggiovie e skilift siano stati riaperti e che per richiuderli siano stati necessari i carabinieri? E quanti servizi tv abbiamo visto sui ristoratori “clandestini” che servono la cena a clienti altrettanto “clandestini”?
Forme di disobbedienza civile? Per niente. Si tratterebbe di forme, pur se non condivisibili, di lecite e perfino nobili manifestazioni ideali di dissenso se non ci fosse il dubbio, molto fondato, che oltre agli aspetti di interesse economico, pesi anche l’intenzione, spesso manifestata senza imbarazzi, di appoggiare la battaglia di una parte politica contro le altre.
Potremmo raccontare tanti altri fatti e fattarelli di piccolo o grande disprezzo della legge e della moralità del vivere sociale che popolano i mezzi di comunicazione di massa. Con più intensità da quando l’epidemia ha preso più forza e la politica è andata sfarinandosi. Tutti, ci pare, hanno due tratti comuni: l’insubordinazione e la tendenza a ignorare (o a sottostimare gravemente) le proprie responsabilità. Ovvero non solo la disobbedienza a una prescrizione giuridica o a una regola di buona convivenza, ma la rivendicazione di prerogative e poteri che non esistono, la pretesa di essere “più uguali”, di non essere sottoposti alle regole di comportamento che valgono per gli altri ma non “per il mio popolo” e la pretesa di poter adottare modalità di comunicazione per cui alla radio pubblica, alle famiglie che si mettono a tavola per il pranzo si pensa di poter suggerire investimenti in bitcoin come si offrirebbe l’oroscopo di Paolo Fox.
Si dirà che non si tratta certo di un fenomeno nuovo, che il “fare un po’ come ci pare” è una caratteristica molto italiana, perché da noi manca il senso dello Stato, siamo prigionieri del nostro “particulare” e via e via, i discorsi, tutti abbastanza veri, che abbiamo sentito mille volte a proposito dei nostri vizi nazionali. Sì, però nei tempi che stiamo vivendo questa propensione all’insubordinazione può generare guasti davvero gravi in molti campi.
Stato e Regioni
Ne citiamo due. Il primo è il rapporto tra lo Stato e le Regioni. Da quando è iniziata la pandemia c’è stato un continuo conflitto tra le articolazioni dello stato. I presidenti delle Regioni, che non solo si fanno chiamare “governatori” ma pensano anche di esserlo davvero, hanno usato le loro scelte in materia di protezione della sanità pubblica come un’arma di consenso e di propaganda che poteva essere brandita anche contro il governo, contro Roma. Contro lo Stato, in fin dei conti, dimenticando che Stato sono anche loro. Non c’è certo bisogno di fare esempi, in merito, e la via veneta al vaccino “per la mia gente” predicata da Zaia non è che la più recente e clamorosa manifestazione di questa distorsione.
Bisognerà aprire un grande dibattito, quando l’emergenza sarà passata, sul come rivedere il sistema dei rapporti tra le articolazioni dello Stato, su come mettere in funzione un federalismo vero e ben funzionante, che corregga l’insipienza delle decisioni prese un tempo con la riforma del Titolo V. Ma intanto l’emergenza c’è ed è proprio adesso che insubordinazione e irresponsabilità possono avere conseguenze tragiche.
Il secondo aspetto è il rapporto tra la politica e la scienza, tra i decisori e i tecnici che forniscono loro i dati di fatto che servono per decidere. La grande correzione a favore delle conoscenze e delle competenze che la pandemia ha indotto rispetto alle frivolezze dei tempi dell’uno vale uno non è arrivata fino in fondo, perché è vero che la scienza è fatta di confronti tra idee diverse, di prove, errori e capacità di rivedere le proprie convinzioni, ma lo spettacolo di dialettiche contrapposizioni animato dalla valanga di esperti rovesciata ogni giorno nelle nostre case dalle tv e dagli altri media è a tratti davvero sconcertante. La colpa, in buona parte, non è dei virologi, degli epidemiologi, degli “–ologi” di varia natura, ma, ancora una volta, della sistemica bulimia del sistema dell’informazione.
Rapporto Stato-Regioni e distorsioni della comunicazione in fatto di salute pubblica. Ci pare che siano due temi importanti da sottoporre all’attenzione del governo che in questi giorni Mario Draghi presenterà al Parlamento.
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