In Europa finisce un modello politico sociale
Le elezioni di marzo e la gestione dei due mesi seguenti stanno producendo un esito senza dubbio dirompente sul nostro sistema politico, ma è meglio distinguere l’analisi dall’indignazione. Specie quando da decenni ci si adonta ogni volta che vincono gli avversari, e mai per affrontare le degenerazioni della sinistra, che conducono alla sua sconfitta.
Da decenni tutta Europa erode i presupposti per rimanere democrazia avanzata: pur avendo tutti i mezzi per fare altrimenti l’Ue ridimensiona il welfare e in genere le soluzioni politico-istituzionali che per la prima volta avevano reso davvero sereni, e quindi moderati, i ceti medi. È una favola che essi siano stabilmente moderati, lo sono stati solo nei decenni centrali e finali del ventesimo secolo.
Al contempo, i ceti del lavoro manuale e di fabbrica in quei decenni furono sottoposti a una dinamica duplice: le gigantesche migrazioni, lavorative e geografiche. Ma questa grande flessibilità, che in Italia come in Svezia poteva provocare protesta e disagio, aveva una caratteristica inedita: era ascendente. Oggi questa caratteristica è scomparsa e masse ormai maggioritarie non capiscono perché. In effetti, non vi è alcuna spiegazione convincente, se non che questo è il capitalismo quando non viene riformato in profondità. La sinistra europea dagli anni 1990 ha smesso di dirlo e di contrapporvisi, quella italiana per ragioni di eredità ideologica e strutturale anche di più. I nostri trattati europei parlano di “Economia sociale di mercato”, ma purtroppo chi conosce l’origine ideologica di quella formula sa che essa rispecchia esattamente, coerentemente il presente.
Il fenomeno investe l’Europa in modo differenziato, perché il regime socio-economico europeo gerarchizza ceti, Stati e regioni. Le regioni centrali e settentrionali europee sono sottoposte ad un tipo di erosione del modello sociale che provoca reazioni elettorali nazionalpopuliste. Qui infatti nella protesta contro i liberalconservatori e le sinistre “mainstream” prevale il timore delle invasioni di immigrati. Dal Po (Padania inclusa) alla Scandinavia, infatti, si trovano le economie che per esportare comprimono sia la distribuzione salariale sia la redistribuzione secondaria, però crescono di più e danno più lavoro. Il risultato è che moltissimi temono che tutti gli immigrati sbarcati nel mediterraneo vadano da loro: perché gli immigrati si spostano verso regioni in cui c’è lavoro e perché in quelle regioni questo lavoro è però sempre meno “ascendente” anche per gli “autoctoni”.
Peraltro, il grave difetto redistributivo di stampo ordoliberale crea, anche dove funziona meglio, ampie zone disagiate o neglette, come i Länder dell’Est, la “udkantsdanmark” (la Danimarca del nord Jutland e delle molte isole) o i “profondi nord” della provincia scandinava. Con fenomeni di egemonia del nazionalpopulismo: in Austria esso governa con maggioranza assoluta non solo perché il Fpö è ben più forte della Lega, ma perché gli ex centristi Övp sono condotti essi stessi dal leaderismo sostanzialmente nazionalpopulista del cancelliere Kurz.
Invece nel meridione europeo abbiamo partiti di protesta radicale diversi: Podemos, Ciudadanos, i portoghesi del Blocco di Sinistra (che recentemente ha sottoscritto un documento con Podemos e Melenchon). Se ci aggiungiamo il M5S (e Syriza pre-2015) vediamo che, nella differenziazione, questi partiti del meridione europeo (con M5S partito del mezzogiorno italiano) non sono nazionalpopulisti: infatti nel sud della UE il regime economico europeo provoca più diseguaglianza e precarizzazione che sopra il Po, e crescita meno attrattiva per gli immigrati. Inoltre, la maggiore diseguaglianza causa maggiore stasi della mobilità sociale, da cui un’incontenibile protesta verso elites politiche e sociali inamovibili. Noi e la Francia, poi, siamo casi di populismo “duplice”. Noi perché (semplificando) siamo sia socio-economicamente “mitteleuropei” (per cui al Nord vince la Lega nazionalpopulista come in Austria, Germania ecc.) sia mediterranei (e al sud vince un tipo di populismo “meridionale”). Salvini, quindi, ha dimostrato di capire il Settentrione italiano più di Bossi, con buona visione politica nel passare dalla natura “regional-populista” della Lega Nord a quella nazional-populista attuale. Perciò sta deglutendo l’intero centro-destra ed espandendosi oltre il lombardo-Veneto. Il M5S corrisponde anch’esso alla fase storico-sociale, pur con le sue gravi disfunzioni e particolarità.
La Francia, infine, offre sia una protesta nazionalpopulista (il FN) sia una protesta gauche-populista (Melenchon) poiché a sua volta per molte ragioni è “terza” (o duplice) rispetto alle nazioni germanico-nordiche e a quelle meridionali. Il totale delle due forze fa il 60%.
È sommamente sterile reagire con indignazione autorazzista quando si perde, come molti fanno a sinistra. È sbagliato citare Gobetti (“fascismo autobiografia della nazione”) per giustificare le sconfitte reiterando tautologicamente la “natura del nostro paese”. Se il geniale Gobetti non fosse stato assassinato giovanissimo avrebbe constatato che l’autobiografia della nazione è sempre, con variazioni, quella del continente. In forme anche peggiori della nostra. Oggi l’autobiografia del continente è la distruzione del modello politico-sociale europeo. Da noi, o meglio nel Mezzogiorno, siamo solo un passo più avanti del resto dell’Europa occidentale. Per ora. Come nel 1922.
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