In nome di Yusuf, una coperta della memoria
Tra donne ci si capisce. E a volte basta un gesto spontaneo per dimostrarlo, al di là delle esperienze e delle lingue diverse. Una coperta poggiata sulle spalle di una migrante sbarcata a Lampedusa, che nella traversata aveva perso il suo piccolo, diventa la cifra del sottinteso, che non ha bisogno di parole. La lampedusana nemmeno immaginava che il suo atto fosse stato visto e che quell’istante si trasfigurasse nell’umana sofferenza di una Pietà che solo il tempo restituisce al quotidiano.
Realizzare una coperta con tanti quadrati e ogni quadrato deve raccontare una storia, allegare un pensiero, un disegno: questa l’idea del Forum Lampedusa Solidale da condividere ovunque, in tutto il mondo. Da allora, la prima coperta è diventata lunghissima, ne sono nate tante altre, e tutte portano il nome di Yusuf, il bambino morto nella traversata del Mediterraneo a soli 6 mesi di vita, nonostante il soccorso dalla Open Arms.

Da Lampedusa a Palmi
Mattonella dopo mattonella, il programma va avanti e nel cammino incrocia altri viaggi, diverse fughe e sfruttamenti.
E’ arrivato anche a Palmi, in Calabria, dove un gruppo di volontari, coordinati da Mimma Sprizzi, con l’appoggio Francesco Piobbichi di Mediterranean hope, – un progetto della Federazione delle chiese evangeliche in Italia presente anche nella Piana – prova a realizzare questo nuovo racconto ininterrotto, una storia infinita che diventi ricordo collettivo.
“Vorremmo creare una sorta di archivio della memoria – dice Mimma Sprizzi – che comprenda non solo le vittime del mare, ma anche tutte quelle di un sistema fondato sulle disuguaglianze e sullo sfruttamento. Abbiamo già iniziato le nostre coperte, una andrà a Lampedusa, un’altra resterà a Palmi. Il contributo è bello perché spontaneo, arriva da persone comuni, attivisti, ma anche dalle donne che seguono il corso di alfabetizzazione italiana alle scuole medie di Gioia Tauro”.
La storia di Surawa
“Nye kanu laye”, ti amo in lingua mandinka: una delle storie legate alle mattonelle di Palmi racconta di un giovane mandinka, indomito come gli uomini della sua etnia, che aveva deciso di lasciare il suo villaggio e, dopo i lager libici, era arrivato nella Piana, iniziando a lavorare e a giocare a calcetto con altri ragazzi della sua età. Surawa Jaithe era il suo nome. Il suo destino, comune a quello di molti, lo ha portato a San Ferdinando, dove l’incendio della sua baracca lo ha divorato a neanche 18 anni. Chissà se almeno una volta aveva pronunciato quelle dolci parole nel suo idioma…
Ancora storie e mattonelle: “Sono scappata dalle torture familiari e mi sono trovata davanti al sadismo dell’essere umano in Libia; vittima di stupro, ho visto uccidere chi mi ha difesa, sono una vittima, questa ferita la porto forever”. E “Ho 18 anni, con mia madre ho iniziato il viaggio della speranza, attraversando il Senegal, il Mali, il Burkina Fasu e il Niger; nel deserto dell’Agades i banditi ci hanno aggrediti, uccidendo mia madre. Arrivato in Libia, ho subito torture di ogni tipo, ho perso la mia dignità abbassando la testa per sopravvivere. I ricordi mi vengono come un film di Hollywood”.

Le vite dei braccianti
A Palmi, quindi, la coperta di Yusuf si impreziosisce di quadrati legati anche alle tragiche esperienze dei migranti morti sul lavoro, di quelli investiti dalle auto di passaggio quando la sera, stanchi di una giornata di sfruttamento, tornano nelle loro case, spesso fatiscenti, spesso ricoveri di fortuna senza luce e acqua, a piedi o in vecchie bici senza fanali, di quelli uccisi da chi in queste nuove migrazioni non riesce a riconoscere quelle, per molti versi simili, dei propri padri.
“Sono molti i braccianti calabresi morti nella Piana di Gioia Tauro durante l’occupazione delle terre alla fine degli anni ’40. – afferma Mimma Sprizzi – Vorremmo dedicare anche a loro le nostre mattonelle, perché la nostra è terra di sacrificio, ma anche di lotta e riscatto”.
In quel periodo, infatti, nacque un vasto e composito movimento fatto di donne e uomini, che rivendicavano il diritto alla terra e al lavoro libero, ma si videro ancora una volta umiliati da un potere, anche statale, con il quale ancora questa regione non ha fatto completamente pace.
Cucire insieme testimonianza e denuncia

La “generosa terra di Calabria”, come la definì Sandro Pertini, ha pensato di reagire o di potersi riscattare lasciandosi alle spalle quei fatti, quando invece recuperarli alla memoria di chi li ha rimossi o non li conosce affatto potrebbe tradursi in uno scatto necessario di dignità.
Una coperta dedicata a un bambino morto in mare, in nome di chiunque abbia intrapreso il suo personale viaggio della speranza, per mare o su terra, è solo un simbolo, ma in quanto tale evocativo e forte.
“I loose my baby!”, gridava invece disperata la madre di Yusuf, uno strazio maggiore perché aveva perso suo figlio proprio nel momento in cui credeva di avercela fatta. Nemmeno la più pregiata delle coperte, con trame d’oro e pietre preziose, può pareggiare questo conto. Tuttavia, proprio quel gesto semplice della donna di Lampedusa e, dopo, quello delle mani che ricamano o lavorano ai ferri e all’uncinetto provano a farsi testimonianza e denuncia insieme.
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