In morte di Guido Rossa, operaio comunista, ucciso trentanove anni fa

Il 24 gennaio 1979, otto mesi e mezzo dopo l’assassinio di Aldo Moro, le Brigate Rosse uccidono a Genova Guido Rossa, iscritto al Pci e delegato sindacale della Fiom, membro del Consiglio di fabbrica dell’Italsider dal 1970.

Immediatamente la città si ferma e le segreterie della Federazione unitaria e della Flm, riunite d’urgenza, proclamano lo sciopero generale per quella stessa mattina.

Migliaia di operai sfilano per le vie della città bloccando subito il porto: “Guido Rossa aveva un solo torto, non aveva paura – affermerà Paolo Perugino, membro del Consiglio di fabbrica dell’Italsider in piazza De Ferrari – Non ha mai ceduto alle intimidazioni, alle minacce. Ha fatto fino in fondo il suo dovere di comunista, di operaio comunista”.

Dirà un altro operaio: “Se ammazzando Guido volevano metterci paura, farci chiudere in fabbrica, in noi stessi, devono sapere che hanno sbagliato i loro conti. Noi non abbiamo paura, ora meno che mai”.

“Per perseguire il folle obiettivo di destabilizzazione della democrazia italiana, le Br passano a colpire i lavoratori e il sindacato, una delle forze decisive per la difesa e l’avanzata della democrazia italiana – dirà in un comunicato la Federazione unitaria dei lavoratori metalmeccanici (Flm) – Le Brigate rosse sono il peggior nemico della classe operaia e della sua lotta per la trasformazione democratica della società italiana. Non ci lasciamo intimidire da questi atti criminali, né sul terreno della vigilanza e della denuncia di ogni atteggiamento di connivenza con il terrorismo, né sul terreno della risposta di massa”.

La risposta è effettivamente enorme: scioperi spontanei, cortei imponenti e assemblee si svolgono in tutte le principali fabbriche italiane da Milano a Torino, da Firenze a Taranto, da Napoli a Bologna.

È come se avessero colpito tutti noi titolerà «l’Unità» il giorno seguente: “Nessuno degli assassinii compiuti finora dai terroristi, per quanto in alto ne fossero le vittime, per quanto illustri o importanti o note apparissero, ci ha procurato un dolore profondo e se non stiamo attenti, disperante, come questo che ci viene dalla uccisione del compagno Rossa, il più grave, il più esecrando, il più crudele, il più lacerante delitto perpetrato fino ad oggi. Perché Guido Rossa era un operaio e un sindacalista. Egli apparteneva dunque alla classe di coloro ai quali ci sentiamo più vicini, perché in questa sua duplice qualità di operaio e di sindacalista rappresentava la democrazia, era la democrazia. Le altre vittime dei terroristi, profondamente rimpiante, costituivano della democrazia garanzia e presidio, difesa e sostegno, vigilanza e tutela, ma il compagno Rossa ne era l’essenza e la sostanza”.

“Hanno ucciso un sindacalista della Cgil, sposato e padre di una ragazza di 16 anni, un compagno comunista – scriverà Fulvio Cerofolini sull’«Avanti!» – La spirale di odio e di violenza ha colpito la nostra città. Nel loro spietato e crudele fanatismo poco prima delle 8 con una telefonata al palazzo dei giornali una voce giovanile ha così commentato il mostruoso delitto «hanno sparato alla spia rossa dell’Italsider. Firmato Brigate Rosse». Questa sola frase dà la misura di quanto questi individui siano contrapposti frontalmente con il movimento operaio, qui a Genova come in tutto il Paese, e come abbiano rotto con i sentimenti più elementari di convivenza civile e di umanità”.

“Con l’assassinio di un membro di un consiglio di fabbrica, di un lavoratore, le Br hanno alzato di molto il tiro nella loro escalation dì violenza – prosegue Cerofolini – Sparano su gente onesta, su uomini che non si fanno intimidire, sui lavoratori. Cercano di mettere in crisi le istituzioni democratiche e di creare sconcerto e paura nella stessa classe lavoratrice. Si mostrano come una potenza oscura ed esterna ai lavoratori verso i quali rivolgono direttamente minacce e ricatti. Chi si fa illusioni che questo tentativo possa, sia pure minimamente, passare sbaglia di grosso. Bastava guardare i volti dei lavoratori riuniti a piazza De Ferrari per capire che non certo sconforto e paura erano in essi visibili. C’era, come c’è in tutta la città, la volontà di reagire con fermezza, opponendo alla violenza criminale, la forza dello Stato democratico […] Il monito che viene da Genova in lutto è quello di impegnarsi perché la nostra democrazia sia più forte”.

Le istituzioni decidono per Guido Rossa i funerali di Stato che si svolgono in piazza De Ferrari il 27 gennaio.

Dirà quel giorno Sandro Pertini: “Non sono qui come presidente, sono qui come Sandro Pertini, vecchio partigiano e cittadino di questa Repubblica democratica e antifascista. Io le Brigate rosse le ho conosciute tanti anni fa, ma ho conosciuto quelle vere che combattevano i nazisti, non questi miserabili che sparano contro gli operai”.

“Hanno ammazzato un operaio, un comunista, un compagno perché ha fatto il suo dovere di italiano e di comunista, perché sanno che questo dovere noi lo abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo – tuonerà Gian Carlo Pajetta dalle colonne de «l’Unità» – Lo hanno chiamato una spia, come ci chiamavano banditi. E non si dica che allora era facile! […] niente è facile, neppure spiegare che bisogna fare la spia, se questo vuol dire fare il proprio dovere […]”.

“Nel corso della sua lotta per la difesa della democrazia e per la sua emancipazione, il movimento operaio ha conosciuto molti nemici – aggiungerà Luciano Lama a nome della Federazione unitaria – Ma questi sono fra i più vili perché operano come i fascisti e hanno lo stesso obiettivo dei fascisti anche se si coprono con una bandiera che non è la loro. Di fronte al compagno ucciso noi, Federazione unitaria, movimento sindacale, cittadini democratici, dobbiamo confermare in un giuramento solenne, il nostro impegno a combattere fino in fondo, con incrollabile fermezza, per la difesa della democrazia […] Riconosciamo sinceramente che se il gesto di coraggio civile compiuto dal compagno Rossa non fosse rimasto troppo isolato, se attorno a lui, nel momento più arduo della prova, noi tutti, a cominciare dagli operai dell’Italsider, fossimo stati un solo grande testimone schierato contro il nemico della democrazia, forse la vita di questo nostro compagno non sarebbe stata spezzata”.

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