Ilva, il M5S ora frena
e vuole discutere
Chiusura programmata e riqualificazione dell’intera area sul modello virtuoso della Ruhr e di Bilbao. Sull’Ilva di Taranto il Movimento 5 Stelle non ha dubbi. “Potremmo utilizzare tutti i lavoratori – ci spiega l’economista Lorenzo Fioramonti, già nella squadra di governo proposta da Luigi Di Maio in occasione delle ultime elezioni politiche – per convertire gli impianti seguendo i processi di riconversione dei modelli Ruhr o Bilbao dove si è passati dalla produzione di acciaio a strutture museali, a laboratori di ricerca e di sperimentazione sui materiali tossici. Il processo deve comunque essere condiviso”. La proposta rientra nelle politiche di transizione socioecologica dell’economia che fanno parte del punto sull’ambiente del programma dei 5 Stelle, e che ridefiniscono il ruolo della green economy, nel passaggio da soluzione tecnologica al problema dell’inquinamento ad una logica più
ampia, inclusiva delle dinamiche sociali, politiche ed economiche, che inizialmente ne erano fuori.
Ne parla Lorenzo Fioramonti, economista e deputato del Movimento 5 Stelle, che ritiene essenziale concentrarsi sia sulle riconversioni industriali sia su un processo “olistico” di misurazione degli effetti economici di una transizione verso la vera green economy. “Green economy oggi –secondo le considerazioni di Fioramonti – non è più solo energie rinnovabili o sostenibilità ambientale delle forme di produzione, ma comprende ampiamente un’economia socialmente più giusta e che punta al benessere diffuso. Il rischio di questi ultimi anni è stato quello di trasformare un’economia gerarchica dominata dalla grande industria, che crea molte disuguaglianze sociali, in un’economia che rimane gerarchica e che continua a creare disuguaglianze sociali, ma che magari lo fa con un tocco ambientalista. Non è questa la vera transizione – afferma il deputato 5 Stelle – ma quella verso modelli di sviluppo che siano non solo ecologicamente sostenibili, ma anche socialmente”.
Ed è proprio all’interno di questo concetto di transizione che va inquadrata la complicatissima controversia sull’Ilva. Un “banco di prova”, come lo definisce Fioramonti. E non può essere diversamente. Lo è stato per tutti i governi precedenti che sull’Ilva si sono schiantati. Perché il problema è enorme e coinvolge tanti ambiti di controllo del Paese. Dall’aspetto ambientale a quello industriale, alla questione sanitaria passando per la delicatissima partita dell’occupazione e del lavoro, dove un modello industriale inquinante e distruttivo distrugge opportunità economiche alternative.
Come fare? Se lo sono chiesto in tanti in questi ultimi anni e hanno provato ad affrontare la questione. Ma senza uno sguardo all’esterno del nostro sistema asfittico il grande dilemma Ilva sì Ilva no, non lo potremo risolvere. Guardiamo quindi ciò che è già avvenuto in molti Paesi del mondo che hanno voluto trasformare coraggiosamente un sistema industriale obsoleto e inquinante in modello di sviluppo innovativo e sostenibile. Il più eclatante è quello della Ruhr. Con il declino delle industrie minerarie degli anni ‘70-’80, nel bacino industriale tedesco tutto sembrava compromesso dal punto di vista ambientale. Più di 4mila Kmq di superficie, 142 miniere che arrivarono ad estrarre circa 120 milioni di tonnellate di carbone all’anno, 31 porti industriali fluviali, e poi gallerie e strade abbandonate (circa 839 km di autostrade e circa 15.200 km di strade urbane). E invece l’area è stata la protagonista del più grande progetto di riconversione in Europa, e forse nel mondo, realizzato in 10 anni, dal 1990 al 2000. Costo, circa due miliardi e mezzo di euro.
Come? Risanando i corsi d’acqua, trasformando in verde pubblico le aree industriali abbandonate, migliorando i servizi (chilometri di piste ciclabili, strutture sportive, musei, teatri, scuole, università), facendo nascere piccole imprese e valorizzando la vecchia architettura industriale. Un’utopia? No, una realtà e un modello per altre analoghe situazioni compromesse. In Italia se ne parla sottovoce da molti anni. Alcune esperienze tentate da governi più avvertiti sono fallite (Sulcis Iglesiente). Ma mai un governo l’ha paventato come percorso strategico nazionale. Un po’ per incapacità tutta italiana di una visione sistemica dei problemi che attanagliano il nostro Paese, un po’ perché nessuno ha mai avuto idea di come arrivare fino in fondo a processi così nuovi. Bisognava arrivare alla formula inedita del governo 5 Stelle – Lega, che comprende pulsioni di destra, di centro e di sinistra in modo anche squilibrato, per azzardare, addirittura in un programma di governo, a proposito della grana nazionale dell’Ilva, parole come chiusura programmata, riconversione, modello Ruhr o Bilbao.

©Andrea Sabbadini
“Se noi riusciremo a fare qualcosa su Ilva – ammette l’onorevole dei 5 Stelle – si apriranno scenari di innovazione per tutti. Parliamo di una situazione complicatissima, diffusamente illegale, che fa dell’Ilva un’area extraterritoriale. Se volessimo anche soltanto ristabilire la legalità, l’impianto si bloccherebbe perche’ oggi opera grazie all’immunita’ penale. Quindi, prima di tutto c’è un problema di legalità Inoltre c’è
un problema sociale riguardante l’opposizione della città alla produzione di acciaio così come viene fatta oggi. E poi, non ultime, ci sono le questioni ambientali e sanitarie che spesso non vengono contabilizzate”.
Una serie di punti che fanno dire al Fioramonti economista: “ma quanto costa Ilva?” Ed è proprio la contabilizzazione totale dei costi che fa saltare in aria tutto l’architrave. Quanto costa l’impatto ambientale e quanto quello della salute? “Le informazioni che abbiamo ottenuto dai commissari attraverso i report presentati recentemente in Parlamento, ci dicono che attualmente Ilva sta perdendo denaro. E’ in rosso come sistema industriale e come azienda. E dunque sta costando molto anche alle casse dello Stato. Le perdite, secondo le stime, si aggirano intorno ai 50 milioni al mese. Se confermate, queste cifre sono veramente preoccupanti- ammette Fioramonti – che si vanno a sommare ai costi ambientali e alla questione più generale della tenuta dell’acciaio come settore industriale negli anni futuri nella competizione con l’India o la Cina”.

Che fare? Lasciare che la struttura, ammesso e non concesso che venga acquistata e che funzioni, rischi di essere comunque insostenibile a livello finanziario negli anni a venire, oppure esplorare percorsi alternativi? “Da studi di massima gia’ effettuati, abbiamo ravvisato alcune possibilità che partono da un punto imprescindibile: se mantenere in piedi Ilva rischia di costarci più di quanto ci costerebbe chiuderla, continuando a pagare i salari per i lavori di bonifica, di riqualificazione del contesto e di messa in sicurezza di alcune aree, allora dal punto di vista finanziario varrebbe la pena di farlo. Certo non è domani. Prima bisognerebbe avviare un percorso di dialogo con i sindacati e con le autorità locali”.
Certo la parola chiusura fa paura in Italia! La nostra storia nazionale ci parla di buone intenzioni ma anche e soprattutto di cattive idee, pessime gestioni e fallimenti di cui pagano solo i lavoratori e i cittadini. Ma non bisognerebbe arrendersi.
“Rispettiamo il processo già in corso – dice Fioramonti. C’è un accordo che dovrà essere firmato o meno il 30 giugno e noi non vogliamo metterci di
traverso. Vogliamo però parlare con tutti. Abbiamo iniziato a farlo con i sindacati e lo faremo anche con ArcelorMittal. Rispetteremo l’accordo tra lo Stato e l’acquirente, anche se come 5 Stelle pensiamo che un acquirente sbaglierebbe ad entrare in un impianto senza l’accordo con i lavoratori
(ArcelorMittal potrebbe firmare anche senza accordo). Sarebbe molto complicato. Da parte nostra abbiamo già esposto ai sindacati il nostro approccio e attendiamo la conclusione delle trattative”. La parola ora spetta a lavoratori ed acquirenti, ciò non toglie niente alla proposta dei 5 Stelle per risolvere l’impasse Ilva e che Fioramonti ribadisce: “se l’Ilva ci sta creando danni ambientali e di salute enormi, facendo perdere denaro all’amministrazione straordinaria, cioè allo Stato, faremmo meglio a ripensarla”.
Ma se si trovasse il modo di produrre acciaio in modo sostenibile e senza impatto, con l’impegno di bonificare davvero la zona? Fioramonti sospira e chiosa: “se si presentasse qualcuno che porta un progetto di produzione dell’acciaio da una fonte energetica non inquinante, cosa che al momento non c’è in vista, e dovesse convincerci della bontà dell’investimento, allora potremmo considerarlo. Fino a quel momento ci muoveremo secondo quanto stabilito nel programma del Movimento”.
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