Il voto finlandese
e la nuova sfida
per i socialisti

Anche le elezioni finlandesi di domenica scorsa confermano in diversi modi le caratteristiche di deterioramento della politica europea. Interessante per esempio l’analisi del professor Miettinen dell’Università di Helsinki: egli indica come nell’ultimo secolo alle grandi crisi economiche segue una crescita dell’estrema destra, e poi una seconda fase caratterizzata dalla frammentazione, mentre la destra nazional-populista si perpetua. Il che equivale a confermare che se il capitalismo non viene riformato in profondità a rimetterci non è solo il socialismo democratico, ma anche le forze “borghesi” della classi medie. Fosse solo la socialdemocrazia a perdere, la frammentazione non sarebbe tanto durevole e pervasiva. Ad andarne di mezzo sono in genere le democrazie europee per come le abbiamo conosciute.

Questo è confermato dalla recente storia finlandese (e se ci si pensa europea): nel 2011 si ebbe l’esplosione della destra nazionalpopulista dei Veri Finlandesi, mentre più di recente sono state le mareggiate della imprevedibile frammentazione a determinare tutto. Difficile dire per quanto ancora questo stato di cose proseguirà, ma intanto è essenziale comprendere che evidentemente gli effetti della crisi del 2008 non sono affatto passati, in Finlandia e in Europa. Non lo saranno fino a che la questione sociale e l’eguaglianza non torneranno al centro, ridimensionando le questioni identitarie da un lato, e inglobando dall’altro lato le questioni ambientali (vedi successo dei Verdi) in un modello di crescita durevolmente inclusivo, cioè di buoni lavori. Ma da quanto detto è evidente che il principale attore di questa necessaria svolta (la socialdemocrazia) non è prossimo a determinarla. Vediamo ora perché, esaminando più in dettaglio anche la frammentazione: le tre più grandi forze politiche sono più o meno pari al 17%. L’afflusso alle urne risale al 72%, ma rimane molto più basso rispetto agli altri paesi nordici. La Socialdemocrazia, è vero, recupera molti voti ed è prima (40 mandati, +6), ma solo di un’inezia rispetto ai nazionalpopulisti “Veri finlandesi” (39 mandati, +1) secondi appena di un 0,2%, dunque quasi primi considerando che hanno subito una scissione costata un 1%. L’altra forza alla pari sono i liberal-conservatori del Samlingspartiet (38 seggi, +1 col 17%). È escluso che la socialdemocrazia guidata da AnttiRinne apra ai nazional-populisti radicali di JussiHalla-aho, e un accordo dovrà quindi trovarsi altrove. Con Verdi (buona avanzata al 11,5% e 20 seggi) e Liberali svedesofoni del Sfp (eternamente stabili al 4,5% e 9 seggi) non dovrebbero esserci problemi, ma non basterebbe. L’accordo, visto che dopo la grave sconfitta il Centro (che crolla al 13,8% e perde ben 18 seggi dei 49 che aveva) è facile voglia prendersi un periodo di opposizione, richiederebbe anche il Samlingspartiet. Il grave problema è che i liberal-conservatori sono neoliberali molto ideologici: costringerebbero i socialdemocratici ad una scelta contraddittoria e dissanguante, come per tutte le socialdemocrazie attratte nella trappola delle grandi coalizioni in questa Europa ordoliberale.

A sistemare le cose nella politica finlandese era sempre stata la prassi consolidata di costruire, attorno al più fortedei grandi partiti, una coalizione di forze decisamente meno ingenti. Ma come si vede non esistono più partiti grandi, e crescono invece in numero e in voti i partiti medi: fra questi è piombato nella sua caduta il vecchio Centro (13,8%), e in quella dimensione si trovano i Verdi e i post-comunisti della Federazione della Sinistra, che anche grazie alla popolarissima leader svedesofona Li Andersson (oltre 24.000 voti personali, seconda solo al leader di estrema destra  JussiHalla-aho: 30.597) aumentano all’8,2%.

Normalmente a svolgere la funzione di “partito cardine” erano il partito agrario Centro dalla parte “borghese” e la socialdemocrazia su quella opposta. Ma da lustri le prassi consolidate inaniscono. Basta vedere la storia recente del Centro: due elezioni fa collassa, va all’opposizione e si riprende all’elezione successiva, fino a tornare nettamente primo e guidare una coalizione con il suo leader JuhaSipilä nella legislatura appena chiusasi. Il governo cede però sotto il peso delle proprie imprevedibilità e contraddizioni. C’è solo da scegliere: i nazionalpopulisti “Veri finlandesi”, parte del governo assiemeal Centro e ai neoliberali ideologici del Samlingspartiet, si sono scissi, e la loro grande maggioranza ha scelto l’opposizione (una scelta che per quanto radicalmente di destra come si è vistoè premiata). Il governo ha continuato a lavorare per poi urtare contro una riforma sanitaria che con le sue privatizzazioni e l’ammissione del profitto privato nel welfare (proprio sul modello di quanto è avvenuto nella vicina Svezia) è il cavallo di battaglia degli iperliberali del Samlingspartiet. Ma questo è troppo i più moderati elettori del Centro.  Inoltre il Centro, forte nelle (molte e vaste) aree rurali e periferiche, intende mantenere le 19 istituzioni regionali, che sono però decisamente troppe per i partner di governo. Anche per i Socialdemocratici le regioni devono ridursi solo mediante unificazioni volontarie. Così, il Centro prima di perdere ancora voti preferisce le elezioni, senza però, come si vede, riuscire a limitare molto i danni.

Il candidato premier socialdemocratico Antti Rinne, al confronto, è stato discretamente efficace: era stato scelto per rinsaldare i rapporti con il sindacato, per ribadire la sanità universalistica e per riformare i redditi di disoccupazione in modo da scongiurare gli aspetti più individualistici ed insidiosi del celebre esperimento di “Reddito di cittadinanza”, quelli cioè che miravano a smontare le assicurazioni “Ghent” amministrate dal sindacato, pilastro della forza del lavoro organizzato nei modelli nordici. La socialdemocrazia è tornata primo partito ma, proprio come in Svezia pochi mesi fa, la sua risalita di credibilità era appena cominciata nella campagna elettorale. Se, ancora come in Svezia, questo processo viene subito spezzato da una coalizione condizionata dalle forze liberalconservatrici, tutto tornerà come prima. Cioè scivolerà verso il peggio.