Il virus rischia
di uccidere
anche le associazioni

Il Covid-19 si sta portando via molte vite umane e, con esse, nella crisi attuale, a farne le spese è spesso anche la cultura. Alcune realtà associative, infatti, in particolare quelle sostenute dagli iscritti e dai pochi fondi pubblici messi a disposizione, si trovano costrette oggi a chiudere i battenti, privando interi territori di attività socio-ricreative, di azioni di solidarietà e presidio legale.

Il pericolo è maggiore al Sud

Prendiamo la provincia italiana, il sud. Un caso tra i tanti, quello di Mesagne, nel brindisino. Qui, in pochi giorni, hanno annunciato la chiusura L’Alveare – Mesagne Bene Comune e il Make – Sala prove e Associazione.

L’Alveare è uno spazio autogestito, piccolo ma accogliente, che in circa due anni di vita ha messo a disposizione della città numerosi eventi di successo, dalla presentazione di libri e proiezione di video ai dibattiti, alle serate musicali, alle cene sociali. Durante l’emergenza coronavirus, ha attivato la “spesa sospesa” per sostenere le famiglie in difficoltà, un’azione consapevole di non risolvere in modo strutturale vecchi problemi, come il lavoro, l’ambiente o la salute, ma di essere tuttavia un piccolo esempio di solidarietà e mutualità, nel rispetto della dignità di tutti.

“L’Alveare in questo anno e mezzo di vita ha rappresentato, per noi, per il centro storico, per chi lo ha sostenuto e vissuto sentendolo proprio, un luogo di aggregazione e vitalità. Ogni giorno di apertura è stata una piccola conquista, una pratica di resistenza”, scrivono i suoi responsabili. E, adesso, a causa della crisi economica, non riescono più a fare fronte alle spese, all’affitto, alle utenze. Inoltre, uno spazio piccolo come il loro non può garantire il distanziamento fisico necessario.

Anche la musica rischia di essere silenziata

Il Make annuncia la chiusura addirittura dopo 20 anni di attività, un lungo periodo in cui più di una generazione ha potuto coltivare e realizzare un sogno, quello, ad esempio, di diventare un musicista, anche affermato. Il Covid-19 anche in questo caso ha dato il colpo di grazia a una struttura già onerosa e tenuta in piedi principalmente dal sostegno dei soci. Finisce, così, un’esperienza che, a partire dagli anni ’90, ha rappresentato un modello per gli altri comuni e l’intera regione Puglia, il risultato di politiche giovanili lungimiranti.

Ai motivi contingenti vanno legati, però, anche quelli politici in senso stretto. Parliamo proprio di quelle politiche giovanili sempre più in fondo nei programmi elettorali e in coda nei bilanci comunali. L’associazionismo libero, quello cioè slegato dalle logiche clientelari, attraversa una crisi profonda, soprattutto da quando ha dovuto subire i tagli e i colpi di certe politiche nazionali, cui ha fatto eco un attacco isterico e spesso infondato da parte dell’opinione pubblica. Non è raro, quindi, che gli spazi pubblici siano stati svenduti o assegnati in modo discutibile e che, di conseguenza, dai centri storici siano stati escluse o emarginate le piccole attività artigianali, le diverse forme di associazionismo, l’imprenditoria culturale.

Sostenere oggi il variegato mondo dell’associazionismo diventa prioritario per l’azione di governo centrale e periferico. Lasciare spazi vuoti, infatti, può significare dare alla criminalità o al malaffare la possibilità di riempirli. Disperdere tante energie che negli anni si sono spese per la comunità equivale a togliere forza a un territorio. Aprire ai processi decisionali, invece, significa garantire la partecipazione democratica, ma anche salvare l’anima autentica di un luogo. E, quando un centro storico muore o viene semplicemente snaturato, proprio quest’ultima è a rischio di estinzione.