Il virus ha ucciso anche il Palio
ma Siena sa come colmare l’assenza
A mezzogiorno in punto, stamane, due luglio, non rintoccherà Sunto, il campanone che dalla sommità dell’alta torre del Mangia che domina la Piazza, con i suoi rintocchi chiama ai riti collettivi. Li chiama a raccolta sia nei momenti alti della vita cittadina, siano di gioia o di dolore. Avrebbe chiamato i contradaioli a vestirsi dei magnifici e pesanti costumi con i quali sfilare; avrebbe dettato i ritmi di una festa nella quale tempi e gesti si ripetono. Si tratta di pratiche abituali che si alimentano nell’emozione del singolo e nella partecipazione del popolo. Anno dopo anno, palio dopo palio. Fino a quest’anno. Il campanone è legato, come si legano le campane nei giorni di passione. Ciò che sarebbe venuto dopo: la benedizione, del cavallo in chiesa, il lungo e cerimonioso corteo storico, il timbro delle chiarine rafforzate dal gran suono della banda con ottoni e tamburi, lo scoppio del mortaretto e la lunga e snervante mossa, la folle corsa di cavalli e fantini verso il bandierino, l’abbraccio collettivo dei vincitori e la lunga nottata in contrada per poi girare e girare e rigirare con le bandiere spiegate per le vie della città. Non ci sarà. Sappiamo il perché e sappiamo come i senesi abbiamo deciso, con compostezza e un pizzico di rammarico, di prendere la decisione della sospensione: il virus killer aveva, momentaneamente, vinto sulla secolare festa. Come nel 1940 e poi nel 1944, quando il palio fu sospeso a causa della seconda guerra mondiale. Quanti inutili paragoni con il linguaggio di guerra si sono sprecati nel raccontare gli effetti della pandemia? Qui si tratta di una semplice presa d’atto: le grandi disgrazie inducono a non far festa. A Siena, come alla Mecca. E’ stato sempre così. Se si sfogliano i tanti e complessi annali palieschi si vedono che sono state proprio altre epidemie e altre guerre a imporre simili decisioni: il colera di metà Ottocento, le guerre risorgimentali.
La forza del rito
Sono state mille le forme attraverso le quali s’è tentato di sanare l’assenza. Si è fatto come quando la mancanza di qualcuno o qualcosa brucia sulla pelle: facendo gruppo, festeggiando come se la cosa che ci manca, in realtà, non ci mancasse, pensando a come sarebbe stato quel giorno o a cosa sarebbe successo… se. Se. Strano ma è stata proprio l’assenza, come spesso accade, a far risaltare la vera forza del rito e della festa: le contrade. La sua natura, il suo dna. Il cuore è la contrada e senza contrada non c’è palio. Bene riscoprirlo tutti insieme a farlo capire anche a coloro che avevano creduto che tutto fosse la corsa, la gara.
Sono tante, davvero tante le feste e le giostre più o meno medievaleggianti che da decenni si tengono in Italia. Tutte hanno come parametro la più antica, l’unica che ha resistito al cambiar dei tempi e al mutar dei gusti e che tramanda un modello di festa italiana. Chiudendo il suo ultimo lavoro sul Palio, Duccio Balestracci, nota, non a caso che “ Il sistema attualmente integrato dei palli continua comunque a non saper riprodurre l’elemento tipicamente senese di contrada. E’proprio la contrada infatti ad essere avvertita e desiderata anche altrove come solido rafforzamento del sentimento identitario che le istituzioni ufficiali sempre meno sono in grado di garantire. E che qui, da secoli, coniuga il saldo ancoraggio nel presente con il lusso gratuito e scandaloso di vivere una parentesi della mente per un giorno e per un minuto e dodici secondi di forsennata, esaltata e esaltante corsa di dieci cavali”.
Se un viaggiatore…
Se un viaggiatore, sbarcato a Siena magari, senza nulla saper del Palio (improbabile, ma ancora possibile) si trovasse a passare tra le vie di Siena in queste prime serate estive o si affacciasse da una finestra che dà su una delle tante vie che s’intrecciano o su uno dei tanti cortili che spaziano, cogliere con immediatezza, senza tante guide o app, la profonda anima di questa città. Sentirebbe i canti dolci, melanconici e popolari che si levano nell’aria, giocando a rincorrersi nelle originali strofe o nelle rime baciate: cori semplici con i baritoni o i tenori che tengon banco e le voci femminili che fanno il controcanto. Cantano Siena, il suo modo d’essere, il modo che hanno di concepire e la vivere la città. Altrove, specie nelle metropoli o anche nelle piccole città mal cresciute si pensano gli edifici come spazi destinati solo a certe funzioni e a certe modalità. Siena a questo resiste, seppure a fatica.

Mi soccorre Hisham Matar che ha fatto di Siena il suo punto di approdo, scrivendo parole preziose:” Si ha l’impressione che le mura che le si snodano attorno come un nastro siano allo stesso tempo un confine fisico e un velo spirituale. Sono lì per tenere lontani gli eserciti invasori, ma anche per preservare e rafforzare il senso di sé della città. L’autonomia qui non è solo una preoccupazione politica, ma anche spirituale e filosofica, va di pari passo con la sovranità dello spirito, con il diritto di esistere in armonia tanto con la propria natura quanto con il bisogno di non perdere di vista se stessi”. Lui vi ha trovato rigenerazione e quiete, risolvendo i rebus che ne imprigionano la mente mentre andava alla perpetua ricerca dei misteri della inimitabile pittura senese.
Liturgia spezzata
Sono mille i modi che ci s’inventano per colmare l’assenza. Chi lo fa andando comunque a cena in Piazza, chi mettendosi il fazzoletto al collo, chi rivedendo vecchi e carriere in bianco e nero o rimembrando questa o quella vittoria, questa o quella purga. Il Comitato Amici del Palio ha deciso di farlo dedicando un video, La sospensione di un attimo, un documentario di venticinque minuti che trasforma in immagini e interviste, sono queste ore in cui la liturgia paliesca è spezzata. Non regna, dunque, un’area dimessa o funere

E’ stato fatto quel che andava fatto e le contrade hanno affrontato questo delicato passaggio con saggezza e maturità. Una pausa , come sostiene qualcuno, che non viene solo per nuocere.”Il palio che non c’è suggerisce piuttosto una pausa che faccia riscoprire la gioiosità della contrapposizione e consiglia di rallentare la velocità, di frenare le smodate accelerazioni, di non affidarsi ciecamente alle tecnologie in auge. Nel silenzio e nella contemplazione si assaporerà un’aria all’antica” scrive Roberto Barzanti, sul Corriere fiorentino. Forse è un segnale. Forse dovremo metter fine alla forsennata globalizzazione e alle inquiete moltitudini del turismo di massa, riflettendo sui tempi e i modi nei quali deve vivere una città come Siena e le terre inimitabili che la circondano. D’altra parte se il Palio è arrivato fin qui – superando i saliscendi della storia, l’alternarsi delle forme di potere e la crescita o temporanea caduta della città – un motivo sostanziale ci deve pur essere. Il fatto è che il Palio di Siena, copio una formula un po’ pubblicitaria ma fortunata “ è un caleidoscopio attraverso il quale possiamo fare un viaggio nel tempo, in secoli di feste italiane”.
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