Il trionfo di Silvio Tivù e l’agonia di Forza Italia

Silvio Berlusconi, anni 86, sta vivendo un frangente delicato del suo passaggio terreno, ha fibra tenace e se l’è brillantemente sfangata in più occasioni, ma stavolta le magagne, tra leucemia mielomonocitica cronica e polmonite, sono pesanti, pare lo sottopongano a chemioterapia, ovviamente calibrata su un corpo d’anziano e usurato. Un senso d’umanità chiede rispetto per l’uomo, la scienza suggerisce cautela, la mediasfera – giusto il mondo suo d’elezione – lo santifica e i fan che si sobbarcano viaggi lunghissimi solo per essergli vicino, davanti all’ospedale San Raffaele di Milano, esigono il miracolo. A Torino usa dire in casi come questi: “esageruma nen”, ma c’è poco da fare, non è più un Paese per i Bobbio, i Carlo Levi, gli Einaudi. E da un bel po’.

La sorte di Berlusconi

Silvio santo subito apre i tg, Rai e no, il “Corriere” spalma su due pagine le ultime nuove, i bollettini medici e e le visite parenti, con incorporate dichiarazioni centellinate e subito valutate in ottica di equilibri familiari e di circolo magico, da Confalonieri a Fascina ai figli (Letta è silente, al solito). E di riverberi politici: cosa accadrà a Forza Italia nel caso malaugurato che? Chi mai potrebbe prendere e tenere alta in mano la bandiera di un partito personale che non ha più l’audience (sic) del tempi belli, ma insomma? Sarà un “après nous, le déluge”?

La frase è attribuiita a Luigi XV e ben si adatta alla situazione, per Berlusconi sanitariamente grave, ma sociologicamente curiosa, “estrema” anzi, volteggiante da un lato tra le mitologie del Corpo del Sovrano, taumaturgo in vita (i re di Francia pare riuscissero a guarire la scrofola dei bambini malnutriti, ovvero la linfadenite cervicale, con la semplice imposizione delle mani, solo le persone grette e senza fede potevano pensare che più avrebbero giovato igiene e buon cibo) e dall’altro su una sorta di dolente,trepidante attesa gonfiata dai media a mille atmosfere e degna non diciamo di una regina Elisabetta, spentasi nella discrezione massima prima delle esequie reali, pubbliche e dovute in una antica monarchia, ma più di una Evita Perón, la donna che incarnava le pulsioni profonde d’Argentina.

E non ha forse il nostro Silvio dato gambe a una versione rinnovata e digitalmente adeguata dell’eterno arcitaliano?

Silvio imbalsamato in vita

Sorriso a trentadue protesi, ammiccante, sottaniere, piacione e barzellettiere greve, di quelli potenti, per cui si ride sempre e sempre di gusto, sinceramente. Insofferente della Guardia di Finanza più di quanto Dracula temesse l’aglio e la croce. Arcitaliano alla Gassman del “Sorpasso” e però, fortuna sua, poco pagante dazio per le molte manovre spericolate. Amato, sfruttato perché ogni cosa che ha toccato, l’ha benedetta, i politici mezze calze fedeli o i faccendieri, le coscette complici di fanciulle olgettizzabili o candidabili a un consiglio comunale, provinciale, regionale, tante minetti igieniste dentali, con padri prosseneti, felici di portare in sacrificio le vergini al Drago (Veronica Lario dixit). O, con l’incedere degli anni, dame di compagnia, infermiere d’anima e inguine.

D’altra pasta la penultima fiamma, Francesca Pascale, e l’attuale giannizzera Marta Fascina, sveglie e solide ragazze del Sud capitombolate dalla medietas all’empireo d’Arcore. Pugni di ferro in guanti di velluto, delimitate attentamente in chiave ereditaria dai figli ma innestate a titolo pieno nel milieu familiare, Silvio chiama “papà” il padre di Marta ed è il colpo di genio d’un impunito cabarettistico e geniale, capace di mixare corruzioni di senatori e generosità, cucù merkeliani, sodalizi politicamente osceni (DellUtri, per essere chiari) e classica farsa, grossolana, applaudita, invidiata.

Evita Perón venne mummificata per l’ostensione al pueblo, Silvio si è imbalsamato in vita, apparendo ormai da qualche tempo come icona di se stesso, cranio calafatato, rughe tirate da stralli invisibili e robusti. E attorno leggende, ora arrivate a scomodare possibili resurrezioni (facile, era Pasqua), immortalità, aure sacrali (non sono al momento immaginabili “vedove” che si lanciano sulla pira, ove mai la Natura reclamasse i suoi diritti).

L’Italia plasmata da Silvio Tivù

Berlusconi è già ora trascendente dal suo sembiante originario, è nell’Altrove dei miti, perché così una stampa in tenuta da maggiordomo l’ha plasmato. Una reliquia vivente, unica nel suo genere, glielo va concesso. Luigi IX di Francia, il re santo, morì durante viaggio di ritorno da una crociata e il suo cadavere venne bollito, le preziosissime ossa sepolte a Saint-Denis. Silvio riuscirà a stento a sottrarsi (gli si augura il più tardi possibile) al mercato “religioso” dei frammenti di doppiopetto, dei capelli bitumati, delle scarpe con tacco dodici.

Così eccoci davanti al San Raffaele, una recita del potere in pieno climax biopolitico, con figurette a caccia di telecamere ed esemplari della fauna tipica che fa pubblico nei programmi di Bonolis, in una miscela di religiosa attesa e circo parafelliniano.

La Madonna piangente sangue di Trevignano Romano si è rivelata una deludente fregatura per molti oranti in trepidazione e i soliti turisti dell’anomalo; i devoti di Berlusconi aspettano l’ennesima rinascita e forse hanno più chance.

È l’Italia, così come Silvio Tivù ha contribuito a plasmarla. “Ich bin ein Berliner”, “Io sono un berlinese” disse Kennedy. “Ich bin Alfonso Signorini”, potrebbero dire oggi troppi direttori di stampa e televisione in cortocircuito, golosamente immedesimati nel direttore berlusconiano più versato, con successo, alla vita gossippara, al metaverso della notizia, allo schermo della menzogna. Alla fabbricazione di una realtà parallela in cui è possibile, anzi obbligatorio sospendere l’incredulità.