Il tracciamento di massa
è un presidio
contro la pandemia
Alla fine del marzo scorso, si stima che un miliardo e settecentomila persone abbiano ricevuto l’ordine di stare a casa, un terzo della popolazione mondiale. Quando un governo impone misure di isolamento, vuole capire se i cittadini stanno seguendo questa disposizione.
Per la prima volta nella storia umana è ora possibile tracciare i movimenti di intere popolazioni grazie ai segnali degli smartphone. Uno smartphone è un telefono cellulare multimediale, che include alcune funzioni tipiche di un computer e genera moltissime informazioni su chi lo sta utilizzando. Le autorità usano normalmente queste informazioni, col vincolo delle leggi sulla privacy nei Paesi democratici, per decidere in circostanze pericolose e straordinarie, come una pandemia, se aumentare le restrizioni, imporre il coprifuoco o mettere più polizia sulle strade.
I due modi del tracciamento
Vi sono due modi in cui i governi possono accedere a questi dati. Il primo è fare un accordo con i provider, le compagnie che offrono ai propri utenti l’accesso alla rete internet e ai servizi connessi. La rete di questi fornitori di servizi connette tra loro i dispositivi, in questo caso i telefoni. Quando un dispositivo si muove col proprietario, esso viene tracciato da un ripetitore di segnale all’altro.
Non è un “pedinamento “molto preciso, ma può dirci se una persona resta all’interno di un raggio di trecento metri o “sfora” pericolosamente. Prima del coronavirus i Comuni utilizzavano normalmente di dati di rilevamento resi anonimi per le statistiche sul traffico, la protezione dei percorsi ciclabili o pedonali, la gestione del turismo o di grandi eventi.
In un’emergenza, ad esempio un terremoto, il tracciamento di massa è molto utile per indirizzare e distribuire i primi soccorsi.
Il secondo modo che i governi utilizzano per rilevare quante persone stiano rispettando i decreti di contenimento del contagio è il rilevamento dei dati Gps (global positioning system) , le coordinate geocentriche che dicono con precisione dove si trova una persona che ha dato a Google il permesso di localizzare la propria posizione. Il motore di ricerca pubblica normalmente i dati dei visitatori di un luogo pubblico, come stazioni, aeroporti, luoghi di lavoro, case, farmacie e negozi di alimentari in cento trentuno Paesi del mondo.
L’intelligenza artificiale e i big data vengono indicati da anni come strumenti chiave per seguire e cercare di limitare il diffondersi di un contagio. Questa volta non c’è differenza: in passato quando si disse Google, studiando la app Google Flu, avrebbe predetto l’arrivo del malanno stagione in modo più affidabile delle autorità sanitarie.
L’app salvavita dal Covid-19
Ora il magazine olandese online The Correspondent ha aperto un inchiesta a puntate sul rapporto tra Covid-19, importanza medica di una o più app salvavita e sullo sconfinamento nell’indebito controllo sociale. The Correspondent sta facendo appello a lettori esperti della materia e ai colleghi giornalisti internazionali perché contribuiscano a portare dati, informazioni, particolari su nuove acquisizioni tecnologiche e notizie. Al lavoro su questa “prateria giornalistica”, due grandi competenti del magazine on line olandese. Una è Morgan Meaker, messa in lista da Forbes tra i trenta under trenta migliori nel giornalismo. Da Londra, Morgan Meaker si occupa di diritti umani e tecnologie, e ha ricevuto il riconoscimento britannico “Parole delle donne”.

Dimitri Tokmetzi è uno storico delle relazioni internazionali laureato a Utrecht e con un post dottorato in giornalismo. La sua missione è rendere accessibile a tutti la tecnologia che controlla le nostre vite e ha pubblicato a New York il libro “L’ombra digitale”.
Con chi sei stato a contatto?
Anche durante il Covid-19 il primo metodo di tracciamento è il contatto. Prima era tramite un umano: un addetto alla sanità intervistava i pazienti positivi cercando di ricostruire con loro con chi erano venuti in contatto. Cercava poi di raggiungere queste persone per fare il test ed eventualmente metterle in quarantena. Ora molti Paesi hanno automatizzato questo sistema.
In Argentina la app Co-Track permette a una persona che si è rivelata positiva di avvisare subito le persone che potrebbe aver messo a rischio senza rendersene conto.
Singapore ha sviluppato una app simile, Trace Together, che utilizza Bluetooth, un sistema per trasferire dati da un dispositivo all’altro.
In Polonia e in India i cittadini devono dimostrare che stanno osservando la quarantena mandando selfie regolarmente tramite una speciale app. Queste ed altre applicazioni promettono ai governi che le utilizzano quanto sarà più facile individuare e gestire nuovi focolai durante in attesa di un vaccino.
Resta senza risposta, in realtà, la grande domanda: il tracciamento digitale funziona? A Singapore solo una persona su sei, intervistata, ha conosciuto e scaricato la app, pur dicendo di avere ogni intenzione di fare la propria parte per prevenire nuove ondate epidemiche.
Ogni nazione ha la sua app. Ma Google e Apple potrebbero tracciarci per forza
L’informazione, tuttavia, non è arrivata correttamente, o è arrivata tardi. Anche perché tutti i Paesi sono andati in ordine sparso e hanno cercato di scegliere la app che sembrava loro più maneggevole per il cittadino ed efficace per i gestori della crisi. In Italia, Immuni, l’infrastruttura su cui verranno caricati i dati , sarà pubblica e nazionale, rispettando tutte le norme sulla privacy.

C’è, tuttavia, chi va molto oltre, e in fretta. Il 10 aprile Google e Apple hanno annunciato che stanno lavorando assieme a un sistema decentralizzato. Non è detto che vi debba necessariamente essere una app da scaricare. Il tracciamento potrebbe essere incluso nello stesso dispositivo. Per l’utente non vi sarebbe la sufficiente protezione contro un uso improprio di terzi.
Possiamo chiederci che diritto abbiamo, in questo momento drammatico, di aprire una discussione sulle app che possono aiutarci contro il Covid-19. Il supermercato e gli altri nostri fornitori, i social network e le campagne pubblicitarie di ogni tipo hanno tutti i nostri dati e conoscono le abitudini, i contatti e i generi ( da quelli alimentari a quelli letterari) che prediligiamo.
Eppure, parlarne non è un perdere tempo in una contingenza tragica: in tempi di crisi le informazioni non vengono sempre usate in modo neutro. La sorveglianza tecnologica ha implicazioni che vanno al di là di una privacy probabilmente ormai illusoria.
Se le app e la biometrica decideranno, ad esempio, chi potrà viaggiare e chi no, chi potrà lavorare dall’ufficio e chi invece da casa, o chi dovrà essere curato con priorità non è in gioco solo la privacy, ma un trattamento giusto per i cittadini.
Informarsi e informare bene è un aiuto, e con confligge col dovere di utilizzare al meglio ogni affidabile risorsa tecnologica contro il Covid-19. Ciò che verrà scelto e deciso adesso stabilirà cosa potrà essere fatto d’autorità con motivazioni mediche, anche in Paesi che abusano dei propri cittadini.
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