Il terremoto ad Aleppo, visto con gli occhi di un profugo curdo siriano

Mosa è un curdo siriano, fuggito con la famiglia da Aleppo e da qualche anno in Francia. La guerra ha spinto lui e uno dei fratelli fuori dalla Siria, in cerca di un destino migliore per i figli. Ma in Siria continuano a vivere gli anziani genitori, un altro fratello, due sorelle. Scelte entrambe difficili: il restare in un Paese martoriato da un conflitto che ormai dura da oltre un decennio, l’andare via, tentando la strada della Turchia, poi il barcone, i campi profughi greci, in particolare quello di Idomeni, con il miraggio dell’Europa, che accoglie, ma con sempre maggiore difficoltà.
Mosa in questi lunghi e difficili anni ha avuto la fortuna di incontrare volontari che si sono presi cura del suo destino, quando era a Idomeni e anche ora che vive e lavora in Francia con i suoi 4 figli, bambini nati rispettivamente in Siria, Turchia, Grecia, Francia. Hanno seguito il percorso del padre e della madre, segnandolo di speranza pure quando la disperazione bussava alla porta.

Il terremoto dopo la guerra

Davvero per certi popoli e certe persone non c’è tregua: non bastavano la guerra e le sue conseguenze, ora anche questo disastroso terremoto. La Siria ne è stata gravemente colpita, benché l’informazione occidentale, almeno quella italiana, si concentri soprattutto sulla Turchia, come se i siriani non meritassero la nostra attenzione e la nostra compassione.
Mosa da ieri non comunica molto con i suoi familiari, perché spesso la rete internet è carente. E’ riuscito per fortuna a sapere che i suoi sono tutti vivi. Adesso spera che si prenda in considerazione anche il suo Paese, dice che Aleppo, Afrin e Jandiri sono state duramente colpite: “Il mondo deve vedere questo”.

Le immagini che gli arrivano su WhatsApp sono disastrose, case distrutte, strade interrotte, persone costrette al gelo della strada, neonati avvolti in coperte di fortuna che dormono per terra.
“La mia famiglia vive nel quartiere Ashrafieh di Aleppo, un quartiere popolare. La nostra casa è composta da quattro piani, che non sono stati risparmiati dalla guerra – dice Mosa preoccupato – . Quando si è verificata la prima scossa, la mia famiglia è andata in un giardino lontano, sette persone, insieme ad altri parenti. Alcuni hanno dormito in macchina, altri in strada, con 3 gradi sotto zero. La situazione anche a Jandiris è pessima, il paese è completamente distrutto”.
Ci sono due famiglie sotto le macerie da ieri. C’è bisogno di attrezzature e macchine pesanti. Ci sono dozzine di edifici demoliti. Si sentono i gemiti delle persone sotto le macerie.

Dove sono gli aiuti per la Siria?

Mosa legge i messaggi che gli arrivano a intermittenza dalla Siria, è angosciato perché pare che non ci sia organizzazione nei soccorsi, nessuna direttiva, nessun aiuto umanitario.

La sorella nel corso di una video chiamata gli ha mostrato la casa, non è agibile, ha subito danni seri, tuttavia, nonostante tutto, i suoi parenti hanno trascorso qualche ora tra quelle pareti pericolanti, tanto è il freddo fuori. Lo stesso freddo che attanaglia il suo cuore.
I suoi amici italiani non li lasceranno soli neanche questa volta. Stanno già pensando a come far pervenire gli aiuti umanitari necessari. 12 anni di guerra, il duro embargo occidentale, il terremoto sono troppo per chiunque, ma non per chi ha la certezza di un’amicizia fraterna.

Notte di veglia ad Aleppo