I ragazzi di paranza alla Berlinale
Il fascino del male nel film di Giovannesi

A digitare “Gomorra” su wikipedia – che è piena di errori, ma è comunque un parametro su come l’umanità utilizza la rete – viene la vertigine: fra le opzioni compare per prima “Gomorra – la serie”, poi “Gomorra (film)”, poi “Gomorra (romanzo)” e infine “Gomorra (città)”. Non so (non gliel’ho chiesto) se Roberto Saviano sia contento di constatare che la serie e il film sono più “consultati” del libro, ma chi dovrebbe sentirsi umiliato è l’autore (fortunatamente anonimo, e probabilmente deceduto…) della Bibbia: le cinque città della pianura la cui distruzione viene raccontata nella Genesi sono state soppiantate dalla Gomorra letteraria/cinematografica/televisiva. C’è da dire che, delle cinque, tre sono ignote ai più: chi si ricorda di Zeboim, Adma e Zoar? Da sempre si parla di Sodoma e Gomorra, e Sodoma veniva sempre per prima, ma Roberto Saviano ha ribaltato tutte le gerarchie!

“La paranza dei bambini” non c’entra nulla con “Gomorra”, però è obbligatorio partire da lì. Se dovessimo usare una terminologia spettacolare potremmo parlare di uno “spin off”, o comunque di uno spostamento di segno e di sguardo rispetto al libro che Saviano ha scritto tanti anni fa e all’universo narrativo (prima cinema, poi tv) che da esso è scaturito. Per altro Claudio Giovannesi, regista del film che oggi passa al festival di Berlino, ha diretto due episodi della serie tv; ma Saviano, che pure l’ha conosciuto in quell’occasione, afferma di aver cominciato ad “annusarlo” già per film come “Alì ha gli occhi azzurri” e “Fiore”, precedenti a quell’esperienza. In realtà il film che rendeva Giovannesi l’uomo perfetto per portare al cinema la “paranza” di Saviano era “Fratelli d’Italia”, un’opera ignota ai più ma degna di essere annoverata fra i 4-5 titoli fondamentali del cinema italiano del terzo millennio (uscì nel 2009). Giovannesi dimostrava, in quel film, un talento quasi unico: acchiappare dei personaggi reali (il film era “tecnicamente” un documentario su tre ragazzi della periferia romana, di varie origini etniche), pedinarli in purissimo stile neorealista (il concetto di “pedinamento del reale” viene da Zavattini), documentare la loro vita e farne racconto. Era ciò che serviva per “La paranza dei bambini”, perché per interpretare un gruppo di ragazzini fra i 10 e i 15 anni che si fa strada nel mondo della camorra non puoi pensare di prendere attori professionisti. Infatti il casting è durato sei mesi: “Abbiamo visionato 4.000 ragazzini napoletanti – racconta Giovannesi – ma non è stato un casting tradizionale, non abbiamo messo un annuncio sul giornale o sui siti specializzati scrivendo ‘cercasi giovani attori per film sulla camorra’. Siamo andati a stanarli uno per uno, nelle scuole, nei parchi, nei locali, per strada. A volte uno portava ad un altro: mentre facevamo il provino a uno, gli chiedevamo di vedere le foto nel suo cellulare e di indicarci un suo amico del quale, magari, ci piaceva solo la faccia”.

Aggiunge Saviano: “Non sono stati loro a cercare il cinema, non ci pensavano proprio! È stato il cinema a cercare loro”. Altra cosa curiosa, che Saviano e Giovannesi ci hanno raccontato lunedì sera quando li abbiamo avuti graditissimi ospiti a “Hollywood Party”, su Radio3: “I giovani che recitano nel film non hanno letto il romanzo e non avevano un copione. Abbiamo girato in sequenza, cioè seguendo la trama, dall’inizio al finale. Ogni giorno spiegavamo loro cosa avrebbero dovuto fare. Nessuno di loro è un camorrista né viene da famiglie di camorra, ci teniamo a dirlo: ma sono ragazzi dei quartieri e quel mondo lo vedono, lo conoscono benissimo”. Questo tanto per ribadire che nessuno diventa camorrista perché ha letto “Gomorra” o qualche altro libro di Saviano: dovrebbe essere ovvio, ma non sempre è così.

Qualcuno vi dirà che “La paranza dei bambini” è un episodio apocrifo di “Gomorra”, in realtà è vero il contrario: se la serie (non il film di Matteo Garrone, che seguiva il libro) è la trasposizione del reale in una finzione assoluta che sfocia nella tragedia greca, “La paranza dei bambini” è una finzione di partenza che ritorna al reale, imprescindibile. È un romanzo di formazione criminale, in cui il crimine inizialmente è là, sullo sfondo, fuori dalla vita dei personaggi (mentre nella serie tv ci siamo dentro fin dall’inizio e la vita “normale” non c’è). Quindi è anche un racconto sul “fascino” del male, e in questo senso è potente ed emozionante, andrebbe visto da tutti i ragazzini di quell’età (forse, meglio, assieme a un genitore che spieghi loro qualcosa sulla vita).

Il film ha due scene parallele che dicono tutto. In una, i ragazzini della “paranza” del rione Sanità, guadagnati i primi soldarelli con i “pizzi” incassati dalle bancarelle del mercato, vanno in un negozio di vestiti e restano abbacinati da scarpe, t-shirt e felpe tutte rigorosamente “brandizzate”. Nell’altra, gli stessi ragazzini ormai lanciati nel business del crimine vanno a rifornirsi di armi e ammirano con la stessa libidine i vari modelli di pistole e mitragliette. “È lo stesso tipo di feticismo – dice Saviano – solo che il secondo step bypassa il primo. L’organizzazione mette in mano una pistola a un ragazzino e lo mette automaticamente in grado di avere tutto ciò che sogna. Vuoi denaro, vuoi gioielli, vuoi vestiti di marca, vuoi una bella casa: basta una pistola. Con quella ottieni anche i soldi”.

Si ha la sensazione, come davanti alla serie tv di “Gomorra”, che non ci sia niente da fare. Che quel mondo abbia leggi e regole di fronte alla quali il senso di giustizia è impotente. Ma qui la coscienza di ogni singolo cittadino deve fare un passo indietro. Anche parlando (più volte) con Stefano Sollima, che della serie tv è il regista/supervisore, non ho mai pensato che “Gomorra” e tutto quel che ne consegue siano “modelli” ai quali qualcuno può pericolosamente ispirarsi. Il modello è ben precedente, è nella realtà, risale addirittura all’Ottocento: e piuttosto che con Saviano, o con altri che l’hanno messo in scena, dovremmo prendercela con uno Stato che non sempre ha fatto il suo dovere. Saviano e i suoi registi osservano quel mondo, lo constatano, lo raccontano. Mettono noi, cittadini comuni che viviamo in un “altrove”, di fronte a uno specchio. Ci fanno osservare l’abisso. Sta a noi non caderci, e sostenere coloro che lo combattono.