Il silenzio di Notre Dame. Le difficoltà
e i rischi del cantiere dopo l’incendio
Mi affaccio alla piazza, scendendo da Boulevard Saint Michel. Da poco s’è fatta notte. E’ buio. S’intravede solo la sagoma della facciata. Una fisionomia familiare al mondo. Intorno è silenzio.
Davanti si erge un’enorme sfinge a due teste, con gli occhi spenti, seduta al centro della città. Non ci sono, nella piazza, giocolieri o venditori di luminose patacche. Pochi turisti osservano incuriositi. In silenzio. La palizzata del cantiere si erge tra la chiesa e il resto della città. E’ un nuovo limite, una barriera che difende l’orgogliosa testimonianza di una Francia che fu.
Parigi, metà settembre
Qualche centinaio di metri più in là, sia girando verso il Quartiere latino che percorrendo il gran viale verso la Sainte-Chapelle e le Palais de Justice, Parigi torna a essere la Parigi di metà settembre: ristoranti pieni, etnie diverse che giovano a scambiarsi lingue e colori, venditori di almanacchi, un viavai di monocicli e biciclette. Le fiamme sono solo nella mia testa. Sono rimaste lì chiuse, nel cassetto delle memorie da quel terribile tardo pomeriggio.
E’ il 15 aprile. Sono quasi le sette di sera quando iniziano a scorrere sugli schermi le immagini delle alte colonne di fumo che si levano dal cuore dell’antica chiesa. Poco dopo, i rossi bagliori. L’inferno.
Notre Dame a fuoco
In una sorta di “Instant book” (Dans les flammes de Notre-Dame, edizioni Albin Michel) che ha avuto gran successo in Francia, il giornalista Sébastien Spitzer ricostruisce con il ritmo del reportage quelle incredibili ore. Da romanziere, poi, indaga i sentimenti che agitarono le loro e le nostre menti: incredulità e tremore, paura e preghiera, rabbia e tristezza. E’ come vedere un film. Le sequenze inquadrano normali cittadini che si ergono a protagonisti; mettono in onda i volti noti della televisione che, al contrario, non sanno che pesci pigliare, in attesa delle note ufficiali delle autorità; evocano le gesta dei pompieri che combattono la dura battaglia contro la fornace infernale. L’autore, nel narrare il drammatico evento, fa incursioni nella storia, nella religione e, soprattutto, nella letteratura. Non a caso il best-seller che da mesi sta dominando le classifiche nelle vendite dei libri in Francia sia l’immortale “Notre-Dame de Paris” di Victor Hugo.
Sulle orme dell’incendio dell’800
Non puoi che ritrovarti nelle pagine fantastiche e premonitrici dell’incendio narrato dal grande Hugo: “Tutti gli occhi si erano alzati verso la cima della chiesa. Ciò che vedevano era straordinario. Sulla sommità della galleria più alta, ancora più su del rosone centrale, c’era una grande fiamma che saliva fra i due campanili con turbini di scintille, una grande fiamma disordinata e furiosa, di cui il vento ogni tanto si portava via un lembo nel fumo.
Al di sotto di questa fiamma, al di sotto della cupa balaustra a trifogli di brace, due doccioni come fauci di mostri vomitavano senza posa quella pioggia ardente che si stagliava con la sua colata argentea sulle tenebre della facciata inferiore. A mano a mano che si avvicinavano al suolo, i due getti di piombo liquido si allargavano a fascio come l’acqua che zampilla dai mille fori dell’annaffiatoio”.
Si capisce come il Notre-Dame di Hugo sia da mesi e mesi in testa alle classifiche dei libri più venduti in Francia. E riannoda i fili che tengono così profondamente legate la cattedrale e la letteratura.
La profezia di Victor Hugo
Quando inizia a scrivere il romanzo, nel luglio del 1830, Victor Hugo paragona la cattedrale a “un’opera che vale la pena di essere ascoltata”. Un fossile da resuscitare. La Rivoluzione le ha inferto ferite dolorose e sacrileghe, trasformandola in un tempio alla Dea Ragione. Notre-Dame è colpita nel suo corpo medievale e nella sua anima di luogo sacro. Per il romanziere l’opera diventa il pretesto per polemizzare contro il gusto neo-gotico che dall’inizio dell’Ottocento sta imperversando in Europa. Al tempo stesso per riconsegnare ai cittadini di Parigi una cattedrale che ormai “è come un teschio in cui ci sono ancora i buchi per gli occhi ma non più lo sguardo”.
Nell’introduzione alla ristampa Adrian Goetz rileva come, in polemica con il gusto dominante, lo scrittore abbia ricreato nel romanzo un suo “medioevo originale” che porta in grembo la vera resurrezione dell’architettura medievale. Libri, dizionari, ma prima di tutto la pietra, aiuterà Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc e una corte di giovani studiosi e architetti a reinventare una cattedrale che assomiglierà molto a quel mostro chimerico descritto da Hugo. Notre-Dame diventerà “La cathédrale de poche” (la formula è del grande storico dell’arte medievale Enrico Castelnuovo) con un’illuminazione e delle vetrate che saranno ricostruite alla luce della storiografia ottocentesca.
Salvi i rosoni, salvo l’organo
Quei tre rosoni, paragonati agli occhi perennemente aperti sulla città, non sono stati toccati dall’ultimo incendio. “E’ un miracolo”, ha commentato il rettore-arciprete della cattedrale, monsignor Patrick Chauvet, precisando poi che uno dei rosoni sarà probabilmente smantellato per evitare che cada. Salvi i rosoni, salvo l’antico organo. Tutto è ora da ritoccare, da risistemare.
Come dopo la rivoluzione, il caso vuole che i parigini mettano di nuovo mano alla loro cattedrale, siano costretti a ricostruirla avendo quella stessa cura che aveva sollecitato ad avere Victor Hugo con il suo romanzo. Non è così facile. I lavori, ad esempio, sono già stati interrotti più volte, sia per motivi di chiarezza nella progettazione sia per motivi legati alla sicurezza dei lavoratori. In particolare, per il rischio della contaminazione da piombo, quello che si era fuso nella terribile notte. Per tutto il mese di agosto sono state quasi dimezzate persone che lavorano nei cantieri (da 70 a 40 addetti).
La visita al cantiere
Torno a visitare la grande malata, la mattina dopo. Ho lasciato sul comodino i libri e imbracciato taccuino e smartphone. C’è il sole. Sono molte persone che rimirano il cantiere e gli stessi gruppi di turisti osservano con attenzione, scattandosi qualche selfie. Sotto i ponti transitano gioiosi bateaux, ai quali è stato riaperto il percorso della Ile de Cité; sono tutte aperte i Bouquinistes, le bancarelle di libri antichi e di seconda mano sui boulevard. Non espongono foto e cartoline, né altri oggetti che richiamino la tragedia. Nessun gadget, né riproduzioni di cartapesta.
La tragedia non è uno spettacolo
E’ importante: la tragedia non è stata trasformata in evento spettacolare da proporre ai consumatori del turismo di massa. Ciò che si vede è un moderno cantiere al lavoro con gli altri architravi ricostruiti in legno e leggeri pontili metallici che permettono di lavorare nella parte più alta. Un’immagine nitida che ha una sua particolare bellezza come quella di un luogo antico che si reinventa.
Ci sono ordine e silenzio nelle vie che permettono di girare tutti i fianchi della cattedrale. Il rumore della città è lontano ed è come se qui le persone parlassero sottovoce per non disturbare il grande lavoro che dentro si svolge. E’ come se ciò che si muove attorno a Notre Dame rispondesse a una sorta di sintassi del rispetto. Si vede e si pensa. Le altre gru hanno occupato il posto delle fiamme e competono in altezza con le guglie rimaste in vita. Sopra le nuvole.
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