Il prezzo del futuro scaricato sui più deboli, il no a un modello ingiusto dietro alle proteste in Francia

In attesa di conoscere l’esito del voto in Parlamento sulle “mozioni di censura” contro il governo, presentate dalle opposizioni, è il caso, ancora una volta, di provare a riflettere sulle vicende politiche francesi degli ultimi tre mesi.
Dal gennaio scorso, più volte, milioni di persone, di tutte le età e fasce sociali, hanno manifestato per chiedere al governo di ritirare la legge sulla riforma delle pensioni e riprendere una trattativa con le parti sociali. Per la prima volta dopo molti anni tutte le confederazioni sindacali sono state unite e hanno concordato all’unanimità ogni passo e forma della mobilitazione. I sondaggi, in maniera costante e prolungata nel tempo, hanno rivelato come la maggioranza dell’opinione pubblica – comprese le persone che sono già in pensione – ritenga la riforma “ ingiusta”, soprattutto nei riguardi dei lavoratori e delle lavoratrici più deboli e costretti a lavori faticosi e poco retribuiti.

Le opposizioni di estrema destra e di sinistra hanno condotto una decisa opposizione parlamentare, ricorrendo anche a forme di ostruzionismo, e hanno aderito alle giornate di sciopero indette dai sindacati, anche se i rappresentanti del Rassemblement Nationale di Marine Le Pen non hanno partecipato ai cortei.

L’articolo 49.3

Gli eletti della destra repubblicana, Le Républicains, hanno votato a favore della riforma del Senato, costringendo il governo ad accettare alcuni dei loro emendamenti, ma all’Assemblea Nazionale si sono divisi e giovedi 14 il Presidente della Repubblica Emmanuel Macron e la Presidente del Consiglio Élisabeth Borne hanno dovuto prendere atto di non avere la maggioranza – si parla di due voti che mancavano- e per evitare la bocciatura della legge hanno deciso di ricorrere all’articolo 49.3 della Costituzione. Articolo che consente al governo di approvare una legge senza il voto del Parlamento. A questo punto, di fronte alla scelta di Macron e dell’esecutivo, le opposizioni hanno avuto 48 ore per presentare le mozioni di sfiducia, che saranno votate lunedi 20 marzo.

Quella presentata dal Rassemblement National non sarà sostenuta dalle forze di sinistra, che appoggeranno, invece, la mozione promossa da vari esponenti del centro e sulla quale confluiranno anche i voti dall’estrema destra. A questo punto saranno decisive le scelte di una parte dei deputati dei Républicains.

Proteste il 21 gennaio 2023 a Parigi contro la riforma delle pensioni in Francia voluta dal presidente Macron
Proteste ia Parigi contro la riforma delle pensioni  Photographie de Chang Martin / Sipa / Ipa agency / Agenzia Fotogramma

Qualunque sia l’esito del voto, sembra però evidente che ci troviamo di fronte a una vera e propria crisi di sistema. Macron aveva deciso di scegliere l’intransigenza di fronte al dissenso, anche se forte e diffuso. Ha sostenuto, spesso, che la riforma faceva parte del programma elettorale sul quale era stato rieletto, che vi era stato un tempo per la concertazione, ma che la sua approvazione ad ogni costo era ed è necessaria per l’equilibrio delle finanze francesi e per non esporsi a crisi speculative.

Posizione politica discutibile, ma che aveva il pregio della chiarezza. Certamente rischiosa di fronte a una reazione negativa così diffusa e duratura. La svolta preoccupante, però, è avvenuta durante la discussione parlamentare: di fronte all’ostruzionismo dei parlamentari di sinistra, i presidenti delle due camere hanno fatto ricorso a tutti gli articoli del regolamento che permettono di abbreviare il dibattito in aula, senza però riuscire a convincere la maggioranza dei parlamentari. Il ricorso finale al 49.3 – commentato da tutta la stampa francese come il segno di una debolezza politica – ha di fatto sancito la crisi.

Gli elettori di Macron

Una crisi della democrazia rappresentativa evidente già da tempo, ma che conosce un’accelerazione. Gli oppositori fuori dal Parlamento, stanchi e preoccupati dopo tre mesi di muro contro muro, hanno trovato motivo per un nuovo slancio anche se la collera e lo sconcerto rischiano di prendere il sopravvento complicando la situazione. Ma come non ricordare che la sera della sua seconda rielezione, nel suo primo discorso pubblico, Macron aveva ammesso che gran parte di coloro che lo avevano votato al secondo turno lo avevano fatto per esprimere un voto “contro” l’estrema destra e non di adesione convinta al suo programma. Aveva promesso di tenerne conto, così come si era impegnato a non più sottovalutare i segnali di sofferenza e di tensione che potevano giungere dal basso della società, dopo la crisi dei “gilets jaunes”.

Proteste il 21 gennaio 2023 a Parigi, Francia, contro la riforma delle pensioni in Francia voluta dal presidente Macron
Proteste  contro la riforma delle pensioni in Francia, Photo by Kelly Linsale / BePress /ABACAPRESS.COM / Ipa agency / Agenzia Fotogramma

La scelta di non accettare il rischio democratico di un voto un Parlamento, rischio figlio anche della novità di un sistema politico tripartito e non più bipolare, è un fatto grave e che non rivela solo l’evidente segno della crisi del suo progetto politico ma anche quella del regime istituzionale del paese.

Il prezzo del futuro

Anche se le due mozioni di censura venissero bocciate, è evidente che la frattura provocata non sarà ricomponibile velocemente. Il movimento di protesta francese va interpretato in relazione a quelli che scuotono la Gran Bretagna, la Grecia e altri paesi europei. Uniti da una motivazione comune, almeno così sembra: non si può andare oltre nella distruzione dei settori pubblici. Una protesta contro il peggioramento quotidiano delle condizioni di vita, contro il fatto che servizi e diritti fondamentali o si deteriorano o sono colpiti.

In Francia non vi è alcuna urgenza finanziaria che imponga una riforma delle pensioni. Il debito pubblico è meno grave di quello italiano, gli assegni pensionistici sono mediamente più bassi, il tasso di natalità è alto, la lotta all’evasione fiscale efficace. Il problema, come hanno sottolineato in questi giorni molti osservatori, è chi debba pagare il futuro del paese, a cominciare dalla riconversione energetica, l’incremento delle spese militari e, purtroppo, i sempre più ricorrenti piani di salvataggio delle banche. Se davvero, come dice Macron, la riforma delle pensioni serve per l’equilibrio finanziario, allora la risposta è chiara; i primi a dovere sostenere queste spese sono i lavoratori e le lavoratrici che fanno i lavori più duri, che sono i meno pagati e che difficilmente arriveranno ai 43 anni di contributi richiesti. Insomma, i più deboli e i più poveri, a cominciare dalle donne.

Ecco perché da tre mesi milioni di francesi scendono in piazza e scioperano: perché trovano questo modello ingiusto e non più sopportabile. Ed ecco perché la loro lotta, difficile e per molti versi disperata, riguarda anche l’Italia e gli altri paesi europei.
Rimane, infine, un’ultima questione: quali sono e quali saranno le conseguenze politiche di tutto ciò? La politica sarà capace di dare una risposta a questa crisi di regime e di rappresentanza democratica? La protesta sociale darà vita a vertenze precise per contrastare le tendenze peggiori e migliorare concretamente le condizioni di vita?