Il populismo? Fenomeno democratico
che è un pericolo per la democrazia

Il mio interesse di studiosa e di cittadina per il populismo è databile agli anni del declino dei partiti di massa nel nostro paese, a quella che conosciamo come crisi o fine della Prima Repubblica. Nel primo numero del 1998 della rivista Constellations curai una sezione speciale sul populismo, nella quale raccoglievo alcuni dei contributi presentati alla International Conference on Democracy: Between Populism and Oligarchy che la rivista Reset e l’Università di Princeton avevano organizzato nel novembre del 1996. La democrazia italiana era l’ispirazione sottotraccia di quel convegno e l’interesse preminente e permanente dei miei studi. Italia e populismo erano per l’accademia statunitense temi esotici e periferici.

Se la democrazia dei partiti diventa plebiscitaria

Oggi, molto del mondo occidentale è Italia, mentre la “periferia” è occupata da quei paesi nei quali il populismo non è stabilmente di casa. Lo scivolamento della democrazia dei partiti verso forme plebiscitarie e personalistiche, e la gestione della comunicazione e dell’informazione da parte dei cittadini stessi per mezzo di Internet, sono i fenomeni epocali che hanno contribuito a cambiare la fisionomia delle nostre società e della politica. Ma già dagli anni Novanta, era chiaro a chi voleva prestare attenzione che il populismo poteva essere un’eventualità tutt’altro che remota; che non fosse circoscritto alla “periferia” dell’Occidente e non fosse monopolio dell’America latina, sua terra natale.

Nel tempo, studi circostanziati sia storici che comparati hanno mostrato come il populismo nasca all’interno di società democratiche o in via di democratizzazione, e che, se e quando riesce a governare può inaugurare forme di radicale maggioritarismo che tollera a fatica la divisione dei poteri, l’indipendenza del potere giudiziario, lo statuto dei diritti fondamentali, condizioni normative sbrigativamente declassate a ostacoli liberali alla democrazia. Quando può, il populismo si fa forza costituente e modifica la costituzione del paese con il proposito di annullare la distanza tra sovranità e governo, tra Popolo e popolo. Per questa ragione, una volta al potere può tendere pericolosamente l’arco della democrazia costituzionale verso un mutamento di regime, autoritario o anche dittatoriale – senonchè, a quel punto il populismo diventa anacronistico, sepolto insieme alla democrazia.

E’ evidente, quindi, che il populismo non è un’ideologia, ma una forma di rappresentanza politica e di governo democratico. Questo lo rende rischioso e difficile da contrastare e, soprattutto, ne fa un fattore di successo molto remunerativo nell’età della politica dell’audience. La patologia diventa normalità.

Gli effetti della rivoluzione di Internet

Fino ad anni recenti, sono stati gli aspetti patologici ad interessare gli studiosi. Ma la rivoluzione di Internet nell’ambito dell’informazione e il suo impatto, comprovato, nella costruzione di rivendicazioni collettive e di movimenti, hanno promosso un nuovo e ricco settore di studi, più attento a comprendere le forme dell’azione politica al di là dei partiti tradizionali e della rappresentanza elettorale. In questo nuovo corso, spicca il lavoro di Ernesto Laclau, On Populist Reason del 2005, che ha trattato il populismo non come un problema ma come lo schema dell’azione politica democratica interessata alla costruzione dei soggetti collettivi, in particolare del soggetto collettivo artificiale per antonomasia, il popolo.

Il populismo diventa così il nome dell’agire politico democratico che consiste nell’unire rivendicazioni sociali diverse mediante una narrativa egemonica e un attore narrante che dà il proprio nome al “vero” popolo. Più inclusivo ed elastico della “classe” e della “nazione”, il popolo populista è costruito con una strategia doppia di individuazione e di esclusione del “nemico” così da delimitare il campo politico tra chi è e chi non è “vero” popolo. Il populismo diventa a tutti gli effetti una forma di democrazia maggioritarista che ripudia il costituzionalismo classico, ed è alternativa a quella dei partiti, i quali, una volta chiusa la stagione totalitaria e abbracciato il principio del pluralismo, hanno lasciato cadere la pretesa di farsi “partito del popolo” o “della nazione”.

Questo libro prende sul serio tale concettualizzazione e cerca di capire che tipo di democrazia è la democrazia populista. Unire le più diverse rivendicazioni, anche quelle trasversali alle ideologie della destra e della sinistra, comporta superare la rappresentanza per mezzo dei partiti e creare una unica frontiera: quella che separa chi esercita il potere e chi non lo esercita, l’establishment e tutti gli altri. Chi meglio può far questo di un leader? Il leader sostituisce i partiti (e anche il suo stesso partito, se ce l’ha) e cementa l’unione con il suo popolo direttamente, affidandosi alla forza persuasiva del suo messaggio e al consenso quotidiano dell’audience.

Capire dove ricava linfa il populismo

Possiamo fidarci del populismo? La mia risposta è negativa. Il populismo getta un’ombra sinistra sulla democrazia costituzionale. Nonostante questo libro si impegni a studiarlo analiticamente, non polemicamente, non rinuncia ad usare il pensiero critico normativo per giudicarlo. La società di mercato e la democrazia dei partiti hanno dato forma e governo ai paesi distrutti dalla Seconda guerra mondiale. Nel corso dei decenni, questo modello ha eroso la propria credibilità a causa di un combinato che si ripropone in tutti i paesi dove il popolismo cresce: lo smisurato potere economico di una piccola minoranza e la progressiva autorefenzialità degli eletti, progressivamente diventati un ceto privilegiato poco attento a rappresentare aspettative e bisogni della popolazione. Ma la preoccupazione giustificata per la perdita di potere della cittadinanza democratica non giustifica la scorciatoia populista.

Quindi mentre il populismo è un fenomeno democratico perché può nascere solo nelle democrazie, non necessariamente è amico della democrazia. Ne è una sfida, invece; e la sua comparsa e il suo successo ci interpellano su quel che è andato storto, sulle ragioni del successo populista. In questo senso, il populismo è lo specchio della democrazia rappresentativa. A partire da qui, la ricerca sulle sue condizioni di crescita e di successo dovrebbe indirizzarsi a quelle aree critiche – nella società, nell’economica, nelle culture e nelle aggregazioni politiche – dalle quali ricava la sua linfa. Ma questa ricerca richiede altri saperi. Per tanto, l’auspicio di questo studio sulla trasformazione populista della democrazia è che le scienze sociali, economiche e politiche si avviino ad una interazione funzionale e fruttuosa con lo scopo, tanto semplice quanto impegnativo e complesso, di individuare le soluzioni democratiche ai problemi dai quali trae alimento il populismo, lasciando cadere l’atteggiamento polemico, un’arma che fa esattamente il suo gioco.

 

Questo testo è un estratto della prefazione al libro

 

Nadia Urbinati

Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia

Editore Il Mulino