Il Pci e l’ultimo dei moschettieri.
Auguri a Citto Maselli per i suoi 90 anni
Andiamo a caccia di coincidenze. Il vezzeggiativo con il quale tutti lo chiamano, Citto, gliel’ha dato Luigi Pirandello che è stato suo padrino di battesimo. La grande letteratura era nel Dna, così come l’arte: il papà di Citto, Ercole Maselli, era il critico d’arte del “Messaggero” diretto da Mario Missiroli.
La mamma, Elena, era quella che gli leggeva le fiabe. “Il primo libro che ho letto è stato un classico, nella biblioteca di mio padre: ‘I tre moschettieri’ di Alexandre Dumas, ero così preso che non riuscivo ad interromperne la lettura. Era un’edizione bellissima del ’36 con le illustrazioni di Gustavino e ancora oggi mi emoziona il ricordo. Di questa mia passione ho parlato spesso con Ettore Scola. Così mi ha colpito che ‘Una giornata particolare’ finisca con Mastroianni che regala alla Loren proprio il libro di Dumas. Mi è sembrato in qualche modo un omaggio” (da un’intervista a Gabriella Gallozzi apparsa su “Bookciak Magazine”, il 6 dicembre 2020).
Forse non è l’unico omaggio: “I tre moschettieri” compaiono anche in “C’eravamo tanto amati”, quando Gianni ed Elide (Vittorio Gassman e Giovanna Ralli) commentano il libro che lui, laureato in legge, ha consigliato a lei, burina e ignorante: “Sto leggendo quel libro che mi hai dato. Molto tosto”. “‘I tre moschettieri’… molto tosto?”, ribatte lui. In un altro film di Ettore Scola, “La terrazza”, Gassman interpreta invece un dirigente del Pci che ha una storia clandestina con Stefania Sandrelli. I due vengono sorpresi in un bar proprio da lui, da Maselli, nel ruolo di se stesso. Sono indimenticabili la faccia, e il tono, con cui Gassman intima alla Sandrelli di far finta di nulla: “Attenta, c’è Maselli. Compagno valoroso, ma…”.
I due compleanni
E siamo arrivati al Pci. Il 9 dicembre Citto Maselli (vero nome Francesco) compie 90 anni. L’anno prossimo il Pci ne compie 100. Altra bella coincidenza. Se qualcuno un giorno avrà la voglia, il tempo e l’ardire di raccontare la storia del rapporto fra il Pci e il cinema italiano (Pci: Partito del Cinema Italiano, vecchia battuta…) Maselli sarà un protagonista.
È sempre stato un militante sincero e partecipe, prima del vecchio partito, poi di Rifondazione Comunista. Ci sono stati momenti in cui, a noi cronisti che seguivamo il cinema e il Pci con uguale passione (ma forse, confessiamolo, il cinema un po’ di più) sembrava che il Maselli militante stesse togliendo qualcosa al Maselli cineasta. Lui forse non sarebbe d’accordo, anzi, rivendicherebbe il proprio ruolo di intellettuale organico con forza, e giustamente. Però la sua filmografia parla chiaro. Sette film, più un congruo numero di episodi e di documentari, dal 1953 al 1970: ottimo ritmo.
Un altro film – uno dei più importanti, “Il sospetto” – nel 1975. Poi, a parte un paio di lavori televisivi, ci si rivede nel 1986 con quella che alcuni colleghi un po’ troppo amanti delle semplificazioni considerano la sua fase “intimista”: quattro film in quattro anni, tutti ritratti femminili, il migliore sicuramente il primo (“Storia d’amore”, 1986) che rivela una giovanissima Valeria Golino. Poi, solo altri due film dal 1990 a oggi, alternati però a un’indefessa attività di produttore o, per meglio dire, di “organizzatore culturale”, di intellettuale che lavora sul campo: Citto è l’anima della Fondazione Cinema nel Presente, che raduna decine di colleghi per realizzare i film collettivi “Un altro mondo è possibile” (sul G8 di Genova) e “Lettere dalla Palestina”.
Storia di Caterina
Alla fine, i lungometraggi per il cinema di Citto Maselli sono 14: non moltissimi. Possiamo salire a 15 considerando “Civico 0”, un curioso esempio di “documentario narrativo” (lui stesso ha parlato di “realismo lirico”) in cui storie vere, di gente vera, vengono rimesse in scena con gli strumenti della finzione. Per Maselli “Civico 0” fu un ritorno alle origini: è sempre bello ricordare che il vero esordio di Maselli alla regia fu un episodio di “L’amore in città”, film collettivo voluto da Cesare Zavattini per pedinare – in modo quanto mai “zavattiniano” – storie reali affidate a vari registi.
Zavattini scrisse l’episodio centrale, il più teorico, ma affidò al giovanissimo Maselli (22 anni) la regia. Si intitolava “Storia di Caterina” ed era un’operazione culturalmente e spettacolarmente assai spregiudicata: raccontava la vicenda di Caterina Rigoglioso, una ragazza madre, poverissima, che aveva abbandonato il figlioletto appena nato in un giardinetto dei Parioli (in via Panama) sperando che qualche riccone del quartiere lo trovasse e lo adottasse; ma poi, travolta dal dolore, si era pentita ed era andata all’orfanotrofio per confessare e riavere il bambino. Il fatto di cronaca era recentissimo e Zavattini e Maselli fecero una cosa, allora, totalmente inedita: chiamarono la stessa Caterina, con il bimbo, a “interpretare” se stessa, a rivivere la propria storia.
Antonioni, Zavattini e Visconti
A distanza di quasi 70 anni, “Storia di Caterina” è ancora un pezzo fondante del neorealismo italiano, quasi l’estremo tentativo di tenerlo in vita proprio nell’anno (il 1953) in cui nuovi esperimenti cinematografici, dagli esordi di Fellini a “Pane amore e fantasia” di Comencini (con De Sica), sembravano metterne in discussione la stessa esistenza.
L’altro aspetto curioso della filmografia di Maselli è che nessun suo film può essere definito “neorealista”, nonostante l’apprendistato zavattiniano e viscontiano (fu assistente di Visconti per l’episodio di “Siamo donne”, quello con Anna Magnani). L’altra esperienza di aiuto-regista, quella con Michelangelo Antonioni nei suoi primi film, lo ha formato con maggiore forza.
Nel 2019, chi scrive ha avuto l’onore di ospitare Lucia Bosè alla Festa del Cinema di Roma, e quella splendida, simpaticissima attrice ci ha raccontato su Maselli delle storie deliziose. “Avevamo più o meno la stessa età, eravamo due ragazzi, e sui set di ‘Cronaca di un amore’ e ‘La signora senza camelie’ facemmo comunella. Mi sentivo molto più a mio agio con lui che con Michelangelo, che aveva vent’anni più di noi. I due ruoli erano drammatici, io dovevo sembrare – in entrambi i film – una donna molto più grande, più seria, più austera di quanto non fossi in realtà. Prima di girare, mentre tentavo di concentrarmi, Citto dietro la macchina da presa mi faceva le facce buffe e mi faceva ridere. Non smettevamo mai di ridere. Una volta Michelangelo, senza dire nulla né a me né a lui, venne verso di me e mi dette uno schiaffo che mi fece girare la testa. Poi, tranquillissimo, disse: ‘Ora giriamo, se a voi due non dispiace’. Che lezione!”. Pensate se oggi, in tempi (sacrosanti!) di #metoo, un regista importante trattasse così una giovane attrice…
Il grande feeling con le attrici
Crediamo che Maselli non abbia mai fatto ricorso a mezzi così estremi. Ha sempre avuto un grande feeling con le attrici. Oltre a lanciare Valeria Golino, ha portato Ornella Muti ad alcune delle sue migliori interpretazioni e ha lavorato con la stessa Bosè, con Virna Lisi, Monica Vitti, Claudia Cardinale.
Possiamo testimoniare quanto affetto nutrisse per lui l’americana Betsy Blair, una militante comunista (ex moglie dell’altrettanto comunista – pochi lo sanno – Gene Kelly) che si era trasferita in Europa per sfuggire al maccartismo e aveva sposato il grande regista britannico, di origine cecoslovacca, Karel Reisz. Quando anni fa andammo a trovare Karel a Londra, nella sua bella casa di Chalk Farm a Nord di Regent’s Park, fu una grande emozione realizzare che la signora che ci offriva il tè era lei, Betsy Blair; e ricordandole il suo lavoro in Italia, per “Il grido” di Antonioni e “I delfini” di Maselli, ebbe parole tenere e divertite per il comune amico Citto.
Perché l’ultima cosa che vorremmo dire, facendogli una tonnellata di auguri per i 90 anni, è che Citto è un grande cineasta, un implacabile rivoluzionario, un “compagno valoroso” come lo definisce Ettore Scola… ma è soprattutto un uomo simpaticissimo, dotato di grande umorismo, capace di stemperare anche i dibattiti politici più serrati con una battuta.
Il Pci e le cravatte
Chiudiamo, quindi, ricordando un aneddoto che ci ha più volte raccontato Ugo Gregoretti. Negli anni ’60, ai tempi ruggenti dell’ANAC (l’associazione degli autori cinematografici) e delle lotte sessantottine, una delegazione capeggiata da Maselli e da Scola si recò a casa di Gregoretti per convincerlo a iscriversi al Pci. “Io votavo comunista ed ero ovviamente simpatizzante, ma non iscritto. E in realtà non avevo una gran voglia di iscrivermi, di farmi coinvolgere… Per cui, di fronte ai loro giusti discorsi, me ne uscii con una battuta che, sul momento, mi pareva definitiva. Dissi loro: ma, compagni, come può iscriversi al Pci uno come me che ha ottocento cravatte? Ci fu un attimo di silenzio e pensai di essermela cavata. Ma Citto mi sconfisse con una battuta migliore della mia: qual è il problema?, disse, il compagno Aragon ne ha più di mille. Di fronte alle cravatte di Louis Aragon, poeta illustre e membro del comitato centrale del Pcf, dovetti cedere”.
Chissà se erano davvero mille, le cravatte di Aragon? Auguri, Citto!
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