Il partigiano che uccise il commissario. Un film su un gappista di borgata

L’anteprima del documentario “Memoria resistente. Clemente Scifoni e i Gap dell’VIII zona” (regista Massimo Pellegrinotti) si è tenuta quasi a casa sua, alla Casa della Cultura di Villa de Santis, su via Casilina. La prima, primissima proiezione, proprio nel suo quartiere, Torpignattara, a cui era legatissimo, e in cui ha vissuto tutta la vita. Un capitolo della storia di Roma, e di quella grande storia che alcuni esponenti politici (Meloni, La Russa) ai vertici del nostro paese vorrebbero dimenticare.
“Papà, carpentiere, era socialista. Io ero contro il fascismo, non mi presentavo al premilitare. Mi ha portato un amico: così sono entrato nei Gap del Pci. Eravamo in quindici, divisi in gruppi di cinque”. Parla come un fiume in piena, Scifoni, ma lentamente, a volte affaticato. La camicia bianca, gli occhi chiari, anche quando il dolore per i compagni caduti gli fa velo. La sua testimonianza è stata raccolta, oltre che da questo film, anche in “Noi partigiani. Memoriale della resistenza italiana” a cura di Gad Lerner e Laura Gnocchi in collaborazione con l’Archivio Anpi (qui il link).

“Qualcuno doveva pure combattere”

Aveva diciotto anni, Scifoni, ed era cascherino del fornaio, la mamma faceva le pulizie al cinema Moderno, il padre, una volta caduto da un ponteggio, era inabile. “Non mi piacevano le armi, non mi sono mai piaciute. Ma non potevo voltarmi dall’altra parte, non potevo restare indifferente o in attesa che gli Alleati ci venissero a liberare. Qualcuno doveva pure combattere”.
I Gap dell’ottava zona, direttamente dipendenti dal Comitato di Liberazione nazionale (Cln) erano impegnati al Pigneto-Torpignattara, Quadraro, Centocelle, Borgata Gordiani e Quarticciolo, spiega Stefania Ficacci, la storica che accompagna e contestualizza la testimonianza di Clemente Scifoni. I comandanti militari e politici erano Luigi Forcella, Dante Sommaruga, Nino Franchellucci. “Le armi? Le prendevamo dove potevamo – dice Clemente Scifoni guardando dritto in camera con i suoi occhi azzurri – e le conservava Paolo, nella sua bottega di falegname. Prima delle azioni, andavamo a prenderle”.

I Gap, Bandiera rossa, la banda Caruso

Le armi erano importanti. Impossibile, senza, fare azioni diverse dalle pericolose incursioni sulle consolari per spargere i chiodi a quattro punte, che pure immobilizzavano i blindati tedeschi e fascisti. Ma la solidarietà era ancora più importante: “La gente moriva di fame” dice Scifoni, e la resistenza, oltre a nascondere i ricercati, a bloccare le spie, si occupava anche di aiutare la gente a sopravvivere, per esempio assaltando i treni merci fermi lungo i binari o i camion militari colmi di derrate alimentari. Oltre a noi dei Gap e del Pci, c’era Bandiera rossa, la Banda dei fratelli Pepe, e noi si lavorava insieme”, racconta ancora Scifoni. Sì, anche con il Fronte militare clandestino, la Banda Caruso, formata da militari e carabinieri.
Il giovane Clemente Scifoni, però, non è conosciuto solo per la sua vita di combattente di quartiere. Ma per un’azione audacissima.
Nel quartiere di Torpignattara il commissario di polizia era Salvatore Maranto, che collaborava con la resistenza e riuscì a proteggere gli abitanti e le formazioni partigiane. Fin quando fu trasferito, nell’ottobre del 1943. Al suo posto arrivò il fedelissimo fascista e filonazista Armando Stampacchia: giro di vite, coprifuoco anticipato, rastrellamenti di ebrei e operai per i lavori forzati e arresti nelle case. Dal Cln arriva l’ordine: fermatelo.

L’azione

Durante la proiezione di “Memoria resistente. Clemente Scifoni e i Gap dell’VIII zona”

Il commissario Stampacchia sfugge a diversi attentati, fin quando il giovane Scifoni – che conosceva il commissario, essendo stato arrestato e poi rilasciato per intercessione di un negoziante – non decide di agire. Con i compagni Valerio Fiorentini e Aldo Feri va, la pistola in tasca, in piazza Ragusa, dove il commissario abitava: “Sono salito al quarto piano ha aperto la domestica, mi ha fatto entrare fino allo studio. Gli ho detto che c’era un problema a Torpignattara, e che sarebbe stato meglio mi avesse seguito: in casa c’erano i bambini. Una volta fuori, sulle scale, gli ho sparato, sono sceso di corsa e siamo fuggiti”.
Un agguato, ma non una vendetta, una vera azione di guerra. Scifoni ha obbedito a un ordine, e probabilmente ha salvato molte vite. La rappresaglia fu durissima. Nei giorni seguenti al quel 4 marzo furono arrestati otto gappisti, tra cui Valerio Fiorentini, portati in via Tasso e poi uccisi alle Fosse Ardeatine.

Partigiani sul Monte Tancia

La repressione si fa incalzante, le spie erano dovunque. Su Scifoni fu messa una taglia enorme, 200.000 lire. Meglio lasciare la città. Con Luigi Forcella e Nino Franchellucci “siamo andati al monte Tancia, provincia di Rieti vicino a Leonessa, ci siamo organizzati nella banda D’Ercoli-Stalin, con noi c’erano anche molti sbandati. Ai fascisti e ai nazisti abbiamo dato molto fastidio”. Forse troppo.
Sul monte Tancia si era costituita una delle tante “Repubbliche libere”. I fascisti chiamano la polizia tedesca per stroncare le formazione partigiane, 300 morti e 700 arrestati. Mentre i partigiani della D’Ercoli si sganciavano, il 7 aprile un gruppo rimasto indietro, e guidato da Bruno Bruni, cade sotto il fuoco. Erano tutti giovanissimi, tra loro Giordano Sangalli, Bruno e Franco Bruni, di Torpignattara. E’ la “Pasqua di sangue”. Un cippo ricorda i caduti sull’Arcucciola (una delle cime del Tancia) luogo della battaglia. Quando ci andava, Scifoni non riusciva a trattenere le lacrime.

L’arresto

Continua il racconto: “Quando siamo rientrati a Roma, qualcuno ha fatto la spiata, forse sperava nella taglia, e le SS sono venute a casa una sera mentre facevo una partita a carte. Ci hanno messo al muro e una SS colpiva col mitra un compagno chiedendo ‘Tu Clemente? Tu Clemente?’. Alla fine ho detto: Io Clemente, ho fatto il gesto prendere i documenti, e mi hanno massacrato di botte. Mi hanno portato a via Tasso, cella 21, terzo piano. Kappler ha voluto vedere chi aveva ucciso il commisssario. Ha chiesto: Scifoni? Sono io, ho risposto. Sì, ero molto giovane. Da via Tasso a Regina Coeli, terzo braccio, quello dei politici. Il 4 giugno, quando sono arrivati gli alleati, sono uscito e sono tornato a Torpignattara. Al processo sono stato completamente scagionato, il Cln si è preso la responsabilità politica, la mia è stata un’azione di guerra”.

Scifoni è morto il 14 gennaio 2021, ultimo dei suoi compagni di battaglia.
Ragazzo di borgata, antifascista, gappista di Torpignattara, combattente sul monte Tancia. Comunista sempre. Una figura limpida e coerente nelle durezze della vita, così come la rimanda il film di Massimo Pellegrinotti, Kaleido produzioni. “In un’unica persona tutta l’esperienza partigiana – commenta il regista – avrebbe meritato più considerazione in vita, così come la Resistenza romana. Via Rasella fu la più importante azione militare in una capitale europea, ma ci fu anche un’azione corale, una lotta capillare e diffusa”.
Bisognerebbe che questo film, “Memoria resistente. Clemente Scifoni e i Gap dell’VIII zona”, venisse proiettato nelle scuole, nelle case della cultura, nei luoghi sociali, e non solo a Roma, e non solo per il 25 aprile. Perché aiuta a capire quanto ricca e multiforme sia stata l’esperienza della lotta partigiana. A Roma e in Italia. Perché bisogna che le fantasiose invenzioni denigratorie della destra che oggi sventola le bandiere di Fratelli d’Italia – e che allora quella guerra la perse, per nostra fortuna – cadano nel vuoto. E il valore di quell’impegno – umano, civile, politico – continui a vivere nelle nostre coscienze. Anzi, in una coscienza condivisa.