Il paese delle fate bianche,
così i muri ci rendono prigionieri
Si può inseguire un sogno di felicità in totale solitudine? Alma è un paesino di montagna, innamorato della sua vita semplice e delle sue tradizioni. Il sogno dei suoi vecchi è fare in modo che resti vivo, ancorando le giovani generazioni. Sarà una catastrofe – una frana gigantesca – ad accelerare i tempi, tagliando ogni contatto con l’esterno. Ma la tenacia necessaria per cavarsela da soli finirà per trasformare il sogno di Alma in un incubo. L‘isolamento che travolge le vite dei suoi abitanti farà dello straniero – e del mondo fuori – una minaccia, un nemico contro il quale alzare muri e imbracciare il fucile.
Il paese delle fate bianche
Nel libro di Amalia Bonagura, Il paese delle fate bianche, l’Erudita editore, la frana che ha isolato Alma non è solo il mare di fango e rocce che ha ingoiato la valle, ma una frana interiore, il cedimento dell’umanità che era la forza e la radice del paese, mentre la felicità tanto desiderata sfuma nella sensazione di insicurezza e nella paura.
Non è difficile intuire dietro la storia raccontata da Bonagura quella recente dell’Italia ma anche dell’Europa dei muri e delle barriere, un’Europa che vive il Mediterraneo dei naufragi come un assedio alla sua civiltà e così svilisce se stessa. Da noi basterebbe elencare il caso della nave Diciotti e quelle a seguire, i porti chiusi, la criminalizzazione delle ong, l’attacco alle forme di integrazione possibile. E il decreto sicurezza che emargina gli immigrati e i loro figli, tenendoli in una zona d’ombra che li espone a forme di schiavismo e criminalità.
I muri tra Alma e il mondo
Su questo l’Italia non ha certo il copyright. Il governo americano è rimasto bloccato per 35 giorni, il più lungo shut down della storia, perché il presidente Trump esigeva dal Congresso i finanziamenti per costruire il muro al confine con il Messico.
Il muro, che anche gli abitanti di Alma costruiscono per difendersi da invisibili altri è già stato tirato su in altre parti d’Europa. L’Ungheria di Viktor Orban, per esempio, dopo aver steso chilometri di filo spinato oggi promuove la natalità degli ungheresi e si inventa la legge soprannominata della schiavitù, che autorizza i datori di lavoro a imporre 400 ore di straordinari all’anno da pagare in tre anni, per far fronte alla carenza di manodopera.
Un progetto per le scuole
Solo esempi, ma bisogna fare attenzione. Sentiamo sempre più spesso parole come negro, e anche sporco negro. Parole come ebreo, pronunciate come se fossero un insulto. In Germania l’allarme è tale che il Presidente del consiglio centrale degli ebrei tedeschi Josef Schuster ha consigliato di non indossare la kippah per evitare aggressioni. Perché quando si comincia restringere la coperta dei diritti umani – dicendo prima gli italiani, prima gli ungheresi – sono i diritti di tutti a subire un danno. Ci sarà sempre una nuova minoranza da colpire. Quelli che non sono me. Tutti gli altri.
E questo, tra le pagine del libro di Amalia Bonagura, che si propone come testo da portare nelle scuole e far vivere tra i ragazzi, si legge in trasparenza. Non si parla di Trump, di Salvini, dell’Europa dove troppi dicono “prima noi “. Eppure c’è tutto. Anche la speranza di tornare a fiorire, come “le fate bianche”, i fiori che resistono al gelo dell’inverno di Alma.
Quello che mette a fuoco l’autrice è il danno: il danno provocato dalla chiusura, che innesca la paura del diverso e il bisogno di sicurezza e inquina i nostri valori, i valori europei e quelli della democrazia. E’ questo danno che dovrebbe farci paura. Perché di tutte queste barriere che stiamo alzando, i prigionieri alla fine rischiamo di essere proprio noi.
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