Il neonato, la ruota e il triste spettacolo sul dramma di una madre
Il tritacarne della società dello spettacolo non risparmia niente e nessuno. Il copione contempla qualunque cosa ma non il silenzio.
Da giorni tutti i mass media imperversano sull’episodio relativo alla “Culla per la vita” della clinica Mangiagalli di Milano, versione moderna dell’antica ruota degli esposti creata nel rispetto dell’anonimato (il nome della madre rimane per sempre segreto) di chi, per qualsiasi ragione, non se la senta di allevare un neonato e lo affidi all’adozione.
Strutture simili di riduzione del danno esistono anche in altre città, da Firenze a Napoli a Taranto: sono una cinquantina ma si contano sulle dita delle mani i casi in cui finora sono state usate. “È una cosa che pochi sanno”, dice il direttore generale del Policlinico: a chi spetta pubblicizzarla se non alle strutture pubbliche?
Autorevoli opinionisti, per lo più maschi, discettano nei talk show sui doveri e sui destini delle madri. Niente attira i telespettatori come la retorica del materno, eterno carattere fondativo dell’identità femminile. Gli ignobili commenti colpevolizzanti sui social mettono i brividi.
La colpevolizzazione della donna
Addirittura interviene pubblicamente un attore popolare come Enzo Greggio, ad arrogarsi il diritto di fare la paternale alla madre biologica perché “il bambino merita una mamma vera”. Le famiglie adottive evidentemente sono finte, come vuole la vulgata oscurantista che oggi va per la maggiore. “Questo bambino è sano, è bellissimo, è fantastico”: se non lo fosse stato?
Il neonatologo della clinica “vorrebbe parlare alla mamma” (se lei avesse voluto l’avrebbe fatto). Le autorità sanitarie si rivolgono a lei “con grande commozione”; dopo aver spiattellato tutto e di più sostengono che “le daranno aiuto in tutti i modi”. Non dicono quali (beneficenza?) in un Paese in cui è altissima la percentuale di donne che abbandonano il lavoro dopo il primo figlio, di quante un lavoro non ce l’hanno, di quante non trovano casa. I nidi pubblici scarseggiano e quelli privati sono carissimi.
“Non ci siano accorti di tutto questo disagio”: c’è una biblioteca intera a raccontare il panico, l’angoscia, l’impossibilità, ma è probabile che avessero troppo da fare per consultarla. C’è un disperato bisogno di educazione sessuale e di conoscenza delle tecniche contraccettive, ma se ti azzardi a nominarle strillano al gender.
La facile previsione è che la prossima volta, dopo tutto questo clamore e tutta questa pressione, i bambini verranno lasciati nei cassonetti.
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