Questione democratica
il no al taglio
dei parlamentari

Il mantenimento del Parlamento, nel suo pieno assetto, è una questione democratica che nulla ha a che vedere con l’esercizio dei suoi poteri, necessariamente improntati alla sobrietà della spesa pubblica.

I risparmi sulla spesa pubblica non si ottengono mutilando la democrazia, ma se del caso, assumendo provvedimenti legislativi atti a definirne il migliore e più efficace funzionamento.

Come è stato ben spiegato in uno dei primissimi appelli che è stato lanciato a sostegno del NO al referendum, l’appello civico lanciato da Bologna da Laura Veronesi, Paola Ziccone, Mario Bovina, “Oramai da troppo tempo l’istituto parlamentare è sotto attacco e su più fronti: né è stata depotenziata l’espressione piena della rappresentanza attraverso leggi elettorali sovente viziate da incostituzionalità, prostrando ed indebolendo il principio della sovranità popolare, ovvero uno dei principi cardine su cui si fonda la nostra Repubblica, nata dalla Resistenza, secondo cui il potere non è solo tripartito nella sua gestione funzionale, ma nella titolarità, assegnato a tutte le cittadine e ai cittadini italiani”.

L’appello ha colpito nel segno, ad oggi è stato sottoscritto da oltre 600 cittadini e cittadine che si sono impegnati a fondo per allargare una mobilitazione a sostegno del NO che oggi è sotto gli occhi di tutti e tutte ma che, fino a qualche mese fa, sembrava assolutamente impensabile. Che l’Anpi, l’Arci, i movimenti per la Pace e la nonviolenza, tanti giovani impegnati nel PD e nella rete delle sardine e, più in generale, nei vari mondi dell’associazionismo civico e di sinistra costituisce un dato sul quale certamente lavorare anche dopo il referendum.

Dopo una stagione di estensione del principio di sussidiarietà, del perseguimento degli equilibri improntati alla parità formale tra Stato, Regioni ed Autonomie Locali assistiamo, particolarmente nell’ultimo decennio, ad un accanimento senza precedenti nei confronti di ogni forma di parlamentarismo.

Populismo qualunquista

Accanimento portato avanti da forze politiche che fingono di confondere le cause con gli effetti di una democrazia che da troppo tempo mal funziona e al cui cuore pulsante, il Parlamento appunto, una forma di populismo qualunquista mira, cercando di aggirare l’efficacia del dettato costituzionale con la promessa di forme di “democrazia diretta” che la storia ha dimostrato essere tratto prevalente dei sistemi politici deboli e soprattutto organizzati su piccolissima scala.

Nel merito della questione su cui verte il quesito referendario: la riforma di cui si parla, ridurrebbe il Parlamento a 600 seggi (400 alla Camera e 200 al Senato) comportando – secondo l’Osservatorio Cottarelli – un risparmio sulla spesa pubblica appena dello 0,007% assegnando al nostro Paese una collocazione tra i paesi con meno parlamentari per abitante.

Ove passasse la riforma l’Italia diverrebbe il paese della UE con il minor numero di parlamentari in rapporto alla popolazione.

Non si scorgono dunque i vantaggi di un provvedimento il cui impatto sui risparmi della cosa pubblica è essenzialmente ininfluente, che produrrebbe un ulteriore allontanamento tra rappresentati e rappresentanti penalizzando peculiarmente i territori a bassa densità demografica, per non parlare delle probabili ricadute sulla rappresentanza di genere che risulterebbe inevitabilmente compromessa in relazione alla diminuzione dei seggi disponibili.

Quanto ora rilevato è tanto più vero in presenza di una legge elettorale riferibile ad un sistema misto costituito da quote di proporzionale e quote di maggioritario e in previsione di una sua riforma le cui caratteristiche sono ancora sconosciute (le ipotesi in circolazione che prevedono liste bloccate smontano in partenza la forza dei richiami, anche di qualche costituzionalista, all’accostamento Sì al referendum-avvio di nuove e positive riforme, a partire da una nuova legge elettorale).

L’appello dei costituzionalisti

Il NO al taglio dei parlamentari, come è stato puntualmente spiegato nell’appello dei costituzionalisti e delle costituzionaliste (https://noivotiamono2020.com/) e anche nell’appello sottoscritto da studiosi e studiose di Filosofia del diritto e Sociologia del diritto (https://www.ilnostrono.it/), mira a impedire un regresso della civiltà giuridico-costituzionale del nostro paese e a rilanciare la necessità di un rafforzamento della democrazia costituzionale e repubblicana (a questo riguardo particolarmente significativa è stata la presa di posizione sulle pagine del Manifesto del Presidente della Fondazione Lelio Basso, Franco Ippolito, insieme con Gaetano Azzariti e Maria Luisa Boccia).

Questo impegno anche del mondo accademico, insieme a vari partiti e movimenti che si riconoscono nell’area del centrosinistra e anche in una prospettiva liberale e progressista, attestano la presenza nel paese di un’alternativa, prima di tutto culturale, alla deriva qualunquista a cui, da ultimo, si è accodato anche il gruppo dirigente del Pd (pare con fortissimi malumori nella sua base, che da più parti è orientata convintamente al No)

La Repubblica Italiana deve riconoscere al Parlamento la piena centralità nell’architettura istituzionale come tributo principale a quanti e quante contrastarono e sconfissero la dittatura.

Il pericolo costituito da ogni deriva o involuzione autoritaria va contrastato con un Parlamento più forte e con una miglior rappresentanza, non con il suo taglio.

 

 

Thomas Casadei è professore associato nelle università di Modena e Reggio Emilia