Il lavoro uccide, una strage incessante. Ma c’è chi gli fa sconti
Di lavoro si muore, sempre più. Si muore per strada, sopra un’impalcatura, all’interno di una fabbrica. Ma anche nei campi agricoli, a bordo di un mezzo pesante o in un letto di ospedale, dopo mesi di agonia. A quaranta gradi all’ombra o sotto la neve. A Trento come a Palermo. Una strage continua, un bollettino di guerra, una carneficina silenziosa. Chiamatela come vi pare, ma la portata non cambia.
I dati ufficiali, registrati dall’Inail, parlano chiaro: 1.133 decessi sul lavoro nel 2018, tre morti ogni ventiquattro ore. Una media ponderata, perché appena qualche giorno fa, il 24 aprile, di morti ce ne sono stati ben quattro. Un operaio di 65 anni investito da un furgone in un terreno agricolo a Sestu, in provincia di Cagliari; un 51enne, al porto di Livorno, colpito alla testa dalla struttura in metallo di un ponte elevatore; un artigiano di 44 anni a Savigliano, nel Cuneese, schiacciato da un tubo del vecchio impianto di riscaldamento; un 54enne travolto da un montacarichi a Salerno. E il giorno prima, nel Varesotto, la vittima aveva solo 28 anni, deceduto nell’azienda di famiglia.
In testa alla triste classifica ci sono soprattutto le province del Sud: Crotone, Isernia, Campobasso. Il primato per malattie cancerogene imputabili al lavoro, invece, è di Taranto, (il 70 per cento dei tumori denunciati è correlato al settore metalmeccanico) seguita da Torino, Napoli e Milano.
E basta sfogliare la cronaca dei giornali locali o ascoltare un’edizione quotidiana del gr di RadioArticolo1 per rendersi conto della gravità e della serialità di un fenomeno sempre più crescente. Siamo già a 214 dall’inizio dell’anno, numeri da togliere il respiro, ma nessuno si scandalizza più di tanto, in pochi vanno oltre il cordoglio di circostanza. Eppure riguarda gran parte dei lavoratori del nostro Paese. Secondo un recente dossier dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, nel biennio 2017-2018 l’incidenza di infortuni mortali è massima in agricoltura, costruzioni, industria mineraria, trasporti e magazzinaggio. Il presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca, ricorda come, pur in presenza di una maggiore attenzione e sensibilizzazione negli ultimi anni, “la sicurezza sul lavoro resta una scommessa ancora tutta da vincere”.
Lo sanno bene i sindacati che, in perfetta solitudine, restano in prima linea a denunciare e a ripetere, come un disco rotto, che “servono più risorse e più ispettori del lavoro”. Perché, dicono, la sicurezza non deve più essere considerata un costo bensì un investimento. Esattamente il contrario di ciò che sta facendo il governo. Alzi la mano chi, nel testo della manovra, ha trovato qualcosa sotto la voce “salute e sicurezza dei lavoratori”. A parte slogan o twitter, il nulla. Lo scorso 2 aprile cinguettava così il ministro del Lavoro Luigi Di Maio: “Buongiorno a tutti, ma soprattutto alle aziende e agli imprenditori italiani. Da oggi entrano in vigore le nuove tariffe Inail, più basse del 30%. Per la prima volta dare lavoro in Italia costerà meno! Meno grida, più azioni concrete!”. Il taglio di cui parla il leader del Movimento 5 Stelle riguarda i premi Inail, un’imposta pagata in parte dal datore di lavoro e in parte dal lavoratore che serve a finanziare l’assicurazione per malattia professionale e i rimborsi in caso di infortunio. Quello che non ha spiegato il vicepremier però è che la sforbiciata sarà finanziata da un taglio di circa mezzo miliardo di euro in tre anni ai fondi che servono proprio a incentivare gli imprenditori a migliorare la sicurezza sul posto di lavoro. Incredibile, ma vero.
La revisione del sistema sembra inoltre introdurre anche un altro effetto negativo. Il giornalista di Repubblica Marco Ruffolo ha spulciato il documento ed è emerso che in base all’interpretazione data ad un passaggio particolarmente complicato delle norme contenute nella legge di bilancio in una recente sentenza della Corte di Cassazione, i lavoratori non potranno più richiedere ai propri datori tutti gli indennizzi non coperti dell’assicurazione Inail. Dunque, se in passato il lavoratore colpito da infortunio, o i suoi parenti in caso di decesso, potevano chiedere i danni morali e quelli biologici temporanei, ora questa possibilità non c’è più. “Un provvedimento non equilibrato poiché si occupa di assicurare dei vantaggi, reali o presunti, al mondo delle imprese, ma non affronta una riforma complessiva del sistema”, commenta la segretaria confederale della Cgil Rossana Dettori. “Ancora una volta saranno solo le lavoratrici e i lavoratori a pagare le mancate scelte strategiche”, conclude con rammarico l’esponente sindacale.
Tornando all’aumento dei morti sul lavoro (il 10,1 per cento in più in un anno) “è del tutto evidente – sottolinea Franco Bettoni, presidente dell’Anmil – che ci troviamo di fronte ad una situazione che, giorno dopo giorno, diventa sempre più intollerabile e indegna di un Paese civile. Occorre un salto di qualità, un deciso cambio di rotta che renda concrete ed efficaci le pur numerose dichiarazioni di intenti che rimangono spesso sulla carta. Non bastano, infatti, le varie normative ed i protocolli sulla sicurezza sottoscritti da pluralità di soggetti se poi questi non vengono applicati nella pratica”. Serve, insomma, una volontà politica chiara che tuteli davvero la vita dei lavoratori. E non i soliti slogan da campagna elettorale permanente.
* Stefano Milani, RadioArticolo1
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