Il video del Guardasigilli
che viola
leggi e doveri

Allo squallore di alcuni comportamenti autoritari, neorazzisti e fascistoidi di Matteo Salvini, capo della Lega, forse qualcuno ormai è assuefatto. Così come alle sue divise farlocche della Polizia (senza che la Polizia medesima si senta in dovere di far notare al ministro dell’Interno che sta commettendo un reato, perché è illecito indossarle). Tuttavia – quando l’altro giorno si è visto il ministro e vicepremier esibirsi all’arrivo, nell’aeroporto di Ciampino, dell’ex terrorista Cesare Battisti – la presenza contemporanea di Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia pentastellato, ci ha fatto tirare un mini-respiro di sollievo: almeno lui non indossava una divisa da ufficiale della Polizia penitenziaria, che dipende dal suo dicastero. Magra consolazione, in verità, perché la mercificazione della vendetta, esibita per fini propagandistici, è roba che pareva sconveniente persino ad Attila. Comunque “piutost’ che nient’, l’è mej piutost” (piuttosto che niente, è meglio piuttosto), come si suol dire a Milano e dintorni: il cappottino blu di Bonafede pareva di buon auspicio, nel trionfo della trucidità made in Lega.

Invece, niente. Il ministro della Giustizia, di professione avvocato civilista, poche ore dopo è riuscito ad apparire più squallido del collega Salvini. Non solo perché ha esibito la foto ripresa mentre indossa una divisa della Polizia penitenziaria, ma soprattutto perché ha postato sulla sua pagina Facebook un video dal titolo “Una giornata che difficilmente potremo dimenticare”. Il video mostra, a parte Bonafede mentre fa petting (politico) a Ciampino con Salvini, il detenuto Battisti: sbattuto qua e là come un sacco di patate da agenti eccitati dall’idea di farsi fotografare con il galeotto. Come se non bastasse, la stessa Polizia penitenziaria ha postato su Facebook l’immagine del ministro travestito da agente e il video della presa in consegna dell’ex terrorista.

Una schifezza a tutto campo. Soprattutto per il ruolo che il ministro riveste, per la sua professione di avvocato, per il generale disprezzo della civiltà giuridica e dell’etica costituzionale e democratica. Cosicché Antigone, l’associazione che si batte da decenni “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, ha contestato a Bonafede (e in subordine agli agenti di custodia, come direbbe lo stesso ministro se si limitasse a fare l’avvocato a Firenze) che hanno violato due norme:

  • L’articolo 114 del Codice di procedura penale, che vieta “la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica”.
  • L’art. 42 bis dell’Ordinamento penitenziario che impone: “Nelle traduzioni (cioè i trasferimenti di detenuti, imputati e arrestati, ndr) sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi. L’inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari.”

    Aggiungiamo noi che il ministro, come avvocato, ha inoltre violato l’articolo 9 del Codice deontologico forense, in vigore dal 12 giugno 2018 (lui era da poco alla Giustizia) e varato dal Consiglio nazionale forense (l’organismo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana, che ha sede nello suo stesso ministero). L’articolo 9 al punto 2 recita: “L’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e dell’immagine della professione forense”. Immagine piuttosto sputtanata, sebbene sembri che, dal punto di vista formale, come parlamentare e ministro sia momentaneamente sospeso dall’Ordine di appartenenza, quindi non potrebbe essere giudicato dalla commissione di disciplina.

    Inoltre, aggiungiamo ancora, Salvini, Bonafede e i loro complici se ne sbattono persino dell’articolo 27 della Costituzione, quando prevede che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In parole povere: il carcere è un luogo in cui lo Stato ha il dovere di garantire l’incolumità e la rieducazione del detenuto, non è un altare su cui celebrare la fame di vendetta brandita dolosamente. Di certo, i due ministri e i loro partiti sosterranno che il famoso “popolo”, del cui umore si fanno interpreti inappellabili, vuole questo; quindi, perché non servirglielo su un piatto d’argento e in diretta web e tv. Si tratta di un ragionamento, si fa per dire…, già elaborato in altri campi, che la dice sulla palude etica e politica in cui il regime nazionalpopulista e pentaleghista ci sta facendo precipitare.

    Che cosa succederà dopo questa delirante esibizione di schifezze? Vista l’impunità  con cui i pentaleghisti usano i ministeri e altri organi dello Stato, non c’è da aspettarsi una ribellione dall’interno del sistema. Semmai sarebbe auspicabile che gli avvocato segnalassero Bonafede al loro Ordine, perché avvii un’azione disciplinare nei suoi confronti oppure, se non è possibile, perché si esprima chiaramente con un comunicato. D’altra partesarebbe baturale: gli avvocati, giustamente, sono sempre in prima linea per la tutela dei diritti dei detenuti. Certo, non depone a favore di un qualche esito il fatto che un altro Ordine, quello dei giornalisti, cui è iscritto Salvini come professionista, non abbia potuto o voluto fare nulla per rimediare alle sue esternazioni razziste e contro il diritto di cronaca, che violano ogni codice deontologico (per altro su Strisciarossa lo avevamo chiesto).

    Vedremo. Nell’attesa, non resta che “resistere, resistere, resistere”, come 25 anni fa disse un magistrato a Milano. Perché il rispetto della legge e delle regole non ammette eccezioni. Il rispetto della civiltà e della democrazia, conquistate con tanta fatica e dolore, neppure. Ora e sempre.