Venezia, il futuro dentro il lockdown:
il documentario poetico di Segre
La Mostra di Venezia ha pre-aperto con un film bellissimo, “Molecole” di Andrea Segre. È vero, il verbo “pre-aprire” non esiste, ma i festival del cinema (soprattutto italiani, va detto) ci costringono a inventarlo essendosi a loro volta inventati il meccanismo delle “pre-aperture”. Cosa significa? Significa che la Mostra apre ufficialmente stasera (2 settembre) con “Lacci” di Daniele Luchetti, ma che ieri sera (1 settembre) ha avuto una pre-apertura ufficiale con il film di Segre.
Essere piazzati in questa ambigua collocazione (un po’ dentro, un po’ fuori) non piace molto ai cineasti, ma speriamo che Andrea Segre ne sia comunque soddisfatto, perché alla fin fine – in questo caso – qualche motivo c’è. Il primo: “Molecole” è un film SU Venezia di un regista veneto che a Venezia, e alla laguna, è molto legato, quindi era giusto mostrarlo in questa sede. Il secondo: nell’anomala durata di poco più di un’ora, e nella sua natura profonda di documentario che è qualcosa di più di un documentario, ma sicuramente non è un film di finzione “Molecole” non era probabilmente papabile per il concorso. Dove vedremo un documentario, “Notturno” di Gianfranco Rosi, assai più ambizioso e produttivamente più impegnativo; e diversi film narrativi classici.
Un film tra passato e futuro
Dopo esserci liberati di questa rapida riflessione sulla collocazione di “Molecole”, che in fondo interessa solo chi fa o i film, o i festival (e meno il pubblico), parliamo del film e del suo autore. Andrea Segre ha diretto documentari splendidi, tra i quali ricordiamo “Il pianeta in mare” che era proprio a Venezia nel 2019, e parlava della presenza più ingombrante della laguna: il polo industriale di Marghera. “Molecole”, come vedremo, è quasi il “controcampo” di quel film.
Ma Segre, da una decina d’anni, è uno dei registi italiani più bravi “tout court”, senza bisogno di ulteriori aggettivi. “Io sono Li” (2011, girato e ambientato a Chioggia), “La prima neve” (2013) e “L’ordine delle cose” (2017) sono tre film narrativi importanti, sempre basati su una seria ricognizione della realtà che poi sfocia in racconto, in poesia. “Poesia” è una parola difficile da maneggiare, che può portare a molti fraintendimenti: ma corriamo il rischio, perché “Molecole” è anche un documentario poetico che si muove su due piani, uno personale, l’altro globale. È un film in cui Segre va “alla ricerca” del proprio padre – ma lo fa partendo dal lockdown, dall’emergenza sanitaria che tutti abbiamo vissuto, e diventa quindi una riflessione su ciò che questo assurdo 2020 potrebbe averci insegnato.
A Venezia nella trappola del lockdown
Come nasce “Molecole”? Semplice: come racconta la voce off dello stesso regista, Segre (che vive a Roma) si reca a Venezia durante lo scorso inverno per cominciare la preparazione di tutt’altro film. Come molti di noi, sottovaluta inizialmente il Covid-19 e viene, per così dire, “sorpreso” dal lockdown a Venezia senza poter tornare a casa (lo ha fatto successivamente).
Vive quindi la quarantena in casa di parenti, alla Giudecca: e chi conosce Venezia sa che la Giudecca è sempre, nella sua quotidianità, un luogo – passateci la battuta – in “lockdown”, un quartiere dove il turismo arriva poco, dove abitano in pochissimi e dove occorre prendere il vaporetto per recarsi dovunque, anche a San Marco. Immerso nella solitudine, ma pure nell’immensa, sconosciuta, irripetibile pace di una Venezia immota, deserta, mai vista così almeno dai tempi di Marco Polo (e forse nemmeno allora, visti i traffici mondiali di cui la Serenissima era il centro propulsore), Segre si guarda attorno. Dentro e fuori casa.
Dentro casa ritrova la memoria del padre Ulderico, veneziano che per lavorare si trasferì in terraferma, a Padova (era uno scienziato, studiava i radicali liberi, appunto le molecole): vecchi super8, una lettera scritta al padre poco prima che morisse, ricordi che la frettolosità del vivere moderno aveva accantonato. Fuori di casa intercetta alcuni veneziani doc che tentano di vivere la città nonostante tutto: una rematrice che per lavoro insegna a vogare in gondola agli stranieri, una coppia di amici, alcuni pescatori, un tecnico che ci spiega come funzionano le maree e le acque alte.
Nessuno l’ha vista così, la laguna
Emerge, pian piano, il ritratto di una città come non l’avevamo mai vista; di più, come NESSUNO l’aveva mai vista. Segre doveva preparare un film sui due grandi flagelli di Venezia, il turismo e l’acqua alta: si ritrova a girare un film su una Venezia priva di entrambi.
Sapete quali sono le immagini più incredibili di “Molecole”, per chi – come il sottoscritto – Venezia la conosce bene? Sono i due grandi canali (Giudecca e Canal Grande) con l’acqua divenuta una tavola, senza la minima increspatura: uno specchio immobile nel quale la città si riflette, e riflette. Perché la laguna, come ambiente naturale, sarebbe così: le onde, piccole o grandi, che vediamo quando percorriamo Venezia sono provocate dai vaporetti, dai navigli privati e soprattutto dalle grandi navi, la vera catastrofe che rischia di uccidere questo fragilissimo eco-sistema. Venezia è stata “pensata”, secoli fa, per barche a remi: ogni motore andrebbe espulso dalla città e dalla laguna, ma come si fa? Solo il Covid-19 poteva riuscirci, per qualche mese. E “Molecole” rimarrà per sempre come una testimonianza e un monito.
I due passati (pubblico e privato) che Segre evoca nel suo film si trasformano in riflessioni sul futuro. Il rapporto con il padre, raccontato con parole toccanti e per nulla retoriche, riguarda in fondo Andrea e quelli che gli vogliono bene. Ma il futuro di Venezia, se ce n’è uno, passa attraverso queste immagini irripetibili: se la città userà il Covid-19 come una lezione (un monito, appunto), se saprà capire attraverso le privazioni imposte dal virus quale danno atroce provoca a Venezia una modernità mal gestita, forse ci sarà una speranza.
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