Quando morì Peppino Impastato
“Quel funerale che accusava la mafia”
Quando Peppino Impastato morì, quel 9 maggio 1978, l’Italia rimase attonita per il ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Cinisi, in fondo, era solo un piccolo paese del palermitano e Peppino un giovane impegnato in Democrazia proletaria, come altri della sua generazione, che univa alla passione per la politica quella per la lettura e il giornalismo. Ma la notizia del suo corpo straziato da un treno di passaggio fece il tam tam tra i compagni in ogni parte d’Italia: bisognava andare, organizzarsi, dimostrare…
Gerardo Melchionda, all’epoca, era studente universitario di Scienze biologiche a Napoli. Dopo due giorni doveva dare un esame. Luigi Aiello, siciliano di Carini, lo chiamò concitato: “E’ morto Peppino Impastato, è stato ammazzato dalla mafia, domani bisogna essere assolutamente al funerale”. Non ebbe dubbi sin dall’inizio, Luigi, che non si fosse trattato di un suicidio, bensì di un omicidio mafioso. E non li ebbe nemmeno Lillo Venezia, quando, per primo, ne scrisse in questi termini dalle colonne del quotidiano Lotta continua.
“In quegli anni – ricorda Gerardo Melchionda – la sinistra extraparlamentare era percorsa da mille rivoli. Alcun di questi erano i movimenti, come il Movimento ’77, di cui io stesso facevo parte. Avevo sentito già parlare di Radio Aut, emittenti libere come quelle, infatti, ne esistevano un po’ ovunque, anche nella stessa Napoli”. Quel 9 maggio, quindi, era necessario fare quadrato, le diverse realtà della sinistra radicale dovevano ritrovarsi, unite, il giorno dopo, a Cinisi, per i funerali di uno di loro.
Sul Freccia del sud senza biglietto
Gerardo decise così di andare, con altri compagni prese una Freccia del Sud notturna, senza biglietto, “erano i tempi degli espropri proletari”, dice. Una volta a Palermo, con un pullman si diressero a Cinisi. Era una giornata nuvolosa. E sotto un cielo plumbeo accompagnarono il feretro di Peppino, con quei brandelli di carne che restavano del suo corpo, tra nuvole di bandiere, striscioni, altoparlanti: non era semplicemente un funerale, era una vera e propria manifestazione politica.
“Alla coda del corteo soprattutto, si urlavano slogan, c’era tantissima gente, inimmaginabile ce ne potesse essere così tanta, molte persone sui marciapiedi, un unico grido, grande, in sintonia”. Gerardo Melchionda non ricorda con precisione se i negozi fossero rimasti aperti o meno, ricorda bene però un ferramenta con la saracinesca abbassata, e anche un altro particolare: sui manifesti della lista di Democrazia Proletaria, con cui Peppino era candidato per le elezioni comunali, il suo nome era stato imbrattato da una matita scura. Qualcuno non gli aveva dato nemmeno il tempo di arrivare al cimitero per cancellarlo dalla vita politica di quel paese; era finalmente fuori, out, questa volta, definitivamente.
La vicenda per giorni rimase solo un trafiletto nei giornali nazionali, ma con gli amici di Peppino, il giorno del suo funerale, Gerardo riconobbe Lillo Venezia, storico direttore de Il Male, scomparso solo a fine marzo a causa del Covid-19, e un giovane Giuseppe Di Lello, diventato poi collaboratore di Caponnetto, Falcone e Borsellino.
Adesso sappiamo come andò realmente la storia, chi conosceva bene il giovane attivista di Cinisi e con lui aveva condiviso certe battaglie, lo seppe subito. L’amico Venturi, quel 10 maggio 1978, ripeteva, affranto: dovevo essere io al posto di Peppino. Melchionda, invece, ebbe chiara una cosa: il funerale recuperava un elemento che tutti sentivano dentro di sé, l’unità; bisognava necessariamente andare oltre, ricomporre quei rivoli e creare unità.
Inutile dire che l’esame universitario non potè darlo e ciò gli comportò dover rimandare di ben otto mesi la seduta di laurea. Non raccontò mai la causa reale del ritardo alla famiglia, ma, oggi, Gerardo Melchionda, docente di Scienze nei licei, di quella esperienza può dire di aver fatto tesoro per il suo costante impegno politico e sociale: è, infatti, anche referente regionale di Libera Basilicata, con la quale conduce battaglie difficili, a riprova che di giovani aut, cioè alternativi, ce n’era e ce n’è ancora bisogno, anche quando quei giovani vanno un po’ avanti con gli anni.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati