Il fantasma di un ex sindaco (in mutande) si aggira per Milano
Si potrebbe cominciare così: un fantasma s’aggira per Milano. Oppure si potrebbe mimare quei film di successo all’esordio, che si replicano in infinite insulse puntate: tipo Rocky, dall’uno al cinque. Avanti, fino all’esaurimento fisico del protagonista, inimmaginabile dopo tanto combattere nei panni dell’eroe muscolare quando neppure il trucco più sbalorditivo può tenere insieme la pelle. Ovviamente non sono in questione il comunismo e neppure il simpatico Sylvester Stallone. Qui, sotto la Madonnina, si tratta solo di Gabriele Albertini, uno che con la sua aria da “amministratore di condominio” (definizione autografa) ne ha viste di tanti colori, dai metalmeccanici a Berlusconi, da Mario Monti ad Angelino Alfano e, per ora, a Matteo Salvini, sindaco, di nuovo sindaco, eurodeputato, senatore, peraltro senza lasciare segno. Partiti politici: FI (1997-2009), PdL (2009-2012), Sc (2012-2014), Ncd (2014-2017), Ap (2017-2018). Rinunciamo a chiarire il senso delle sigle. Neppure lui ci riuscirebbe. Contano le date: dal 1997 al 2018.
Il candidato “civico” di Salvini
Ventuno anni di carriera politica (senza contare quelli precedenti in Assolombarda e quelli alla guida degli industriali metalmeccanici) e cinque partiti non sono pochi per uno che aspira a tornare a Palazzo Marino definito da Salvini con la solita faccia tosta “candidato civico”.
Albertini, dopo un caffè con il capo dei leghisti, ha in realtà chiesto tempo: deve parlarne in famiglia. E’ un uomo saggio. Rispose così anche a Silvio Berlusconi, che aveva ben altra stoffa rispetto a Salvini e sapeva essere ben più convincente dall’alto delle sue antenne televisive. Allora Albertini, neppure cinquantenne, si convinse e guadagnò la poltrona che era stata di Marco Formentini. Si convincerà anche questa volta, passati i settant’anni, per ambizione e per occupare il tempo libero, dopo aver sondato più che la famiglia gli umori dell’elettorato e la saldezza del suo schieramento. Sarà in autunno l’avversario di Beppe Sala, il sindaco di Expo e del centrosinistra, erede di Giuliano Pisapia.
Salvini potrà vantarsi d’aver tolto le castagne dal fuoco al centrodestra, che non sapeva da che parte voltarsi. Una furbata secondo il suo consueto stile, nella indifferenza alla storia, ai problemi della città, alle prospettive future, alle identità politiche, una furbata che rimette assieme uno schieramento, lasciando credere a Berlusconi d’aver deciso lui, recuperando quella destra che si riconosce attorno all’ex vicesindaco De Corato. Salvini, dopo la chiacchierata con il suo prescelto, non ha trascurato un elogio pubblico: “Albertini ha lasciato una traccia importante su questa città. Dopo di lui poco”. Il “poco” è evidentemente attribuibile a Letizia Moratti, da qualche mese superagente alla sanità e in corsa per guidare la regione Lombardia”, memorabile come sindaco per le sue liti con Formigoni, liti che avevano rischiato di condannare Expo al naufragio.
Una nuova stagione oscura?

Salvini ha messo a disposizione di Albertini anche le sue idee per la metropoli: “Mi piacerebbe tornasse sindaco della grande Milano che guarda al futuro e costruisce grattacieli e metropolitane”. Dimentica Salvini che i grattacieli, pure troppi, e le metropolitane (due nuove linee) sono di questi anni, di Pisapia e di Sala, e che mai Milano s’è presentata agli occhi del mondo vivace, dinamica, propulsiva come di questi tempi, prima che il covid combinasse disastri.
Il “modello Milano”, tra le amministrazioni di Pisapia e di Sala, s’è via via aggiornato, allo slancio solidaristico s’è alternato un impulso imprenditoriale. Le critiche ci stanno. Ma intanto Milano ha superato la stagione oscura del centrodestra, la stagione di una città divisa e immobile, avvilita da troppe tensioni sociali, più povera e triste, quando proprio la sindaca Moratti non esitava a guidare fiaccolate contro gli immigrati.
Sui conti suoi e di Albertini, sui bilanci delle rispettive amministrazioni, si potrà tornare. Non ci restano che l’attesa e una speranza, quella di non rivedere la sfilata in mutande (di cachemire, firmate Valentino) di un sindaco di Milano. Con lui ci capitò anche questo (memorabili le repliche di Teo Teocoli). L’età dovrebbe portare consiglio. Anche Rocky alla fine si arrese.
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