Il contropotere della poesia nelle immagini e nei versi di Lorenzo Fava

Oggi abbiamo tutto il mondo a portata di click, ci sembra di dominare l’oceano delle immagini. Le consumiamo, le collezioniamo. A volte due minuti di lettura sono già troppi. Siamo già passati all’immagine successiva, ancora più lontana, ancora più intensa. Naturalmente questo delirio di onnipotenza non è esente da effetti collaterali, se si considera che la dipendenza dal web è ormai tra i disturbi psicologici più comuni.
Nel contesto di questa continua caccia all’immagine, che finisce per distaccare il cacciatore dalla realtà e renderlo preda, la poesia è al tempo stesso anacronistica e familiare. Al margine del silenzio, dell’incomunicabilità, è una modalità di comunicazione così diversa dai meccanismi di seduzione messi in atto dalle immagini-pubblicità del web. Al tempo stesso l’evocazione di immagini è la sostanza della poesia.

“Vile e enorme”

poesia
Foto di Cyril da Pixabay

Con la sua raccolta Vile ed enorme, Lorenzo Fava ci dà un esempio pregnante del contro-potere della poesia, e del diverso paradigma visivo-evocativo che è in grado di proporre. «Hai visto una formica ingigantire/ fino a schiacciarti il cuore». Questi due versi risvegliano in noi una diversa modalità di concentrazione, nella quale il “piccolo” ingigantisce, si fa rilevante, proprio grazie alla sua fragilità, diventando così qualcosa capace di smuovere la coscienza.

Viene in mente la riflessione junghiana sull’archetipo, qualcosa di “più piccolo del piccolo e più grande del grande”, dove il “più piccolo” indica l’incontro con la realtà al di là dei pregiudizi e delle generalizzazioni della coscienza, mentre il “più grande” è la partecipazione emotiva che da questo incontro si schiude, che coinvolge in un’unica trama psicologica le manifestazioni del vivente, al di là dell’egoismo.

L’immagine che ci guarda

Così, nella poesia di Lorenzo Fava, l’immagine non è prodotto da consumare, ma qualcosa che, mentre si fa guardare, al tempo stesso ci guarda, ci conosce. In questo modo l’“Io”, proprio rapportandosi all’altro, recupera un dialogo anche con se stesso. Questa spinta autocontemplativa e autoriflessiva è l’opposto dell’immagine che potremmo definire, in senso lato, pubblicitaria, un’immagine che eccita il desiderio lasciandolo al tempo stesso sempre insoddisfatto: «Risucchiati dal futuro, prede del delirio/ che ci uccide. Lingua, lascia che le cose/ vedano noi e il sole faccia nero il resto».

L’ammonimento a non diventare prede di un’ossessiva corsa verso il futuro, ormai compenetrata nella nostra vita di produttori e consumatori, ricorda i versi di Mario Luzi: «Vola alta, parola, cresci in profondità,/ tocca nadir e zenith della tua significazione,/ […] però non separarti/ da me, non arrivare,/ ti prego, a quel celestiale appuntamento/ da sola, senza il caldo di me».

Il sogno e la poesia

Foto di Carola68 Die Welt ist bunt…… da Pixabay

Si tratta dunque di un’avventura esistenziale in cui l’infinito si ricolloca continuamente, ma non è mai espulso dall’essere umano. La poesia di Lorenzo Fava tocca gli estremi, è esigente ma piena di comprensione; è radicata nel sogno, ma finché il sogno aiuta a mordere la terra. L’“io” può aprirsi alla totalità solo nella misura in cui riconosce i propri limiti: «È un canto, una preghiera oltre/ lo spazio chiuso dei centimetri,/ una voce che s’alza dai tuoi limiti/ e tende là, verso il mare».

Si sviluppa così una storia dell’“io” che recupera le diverse manifestazioni dell’infinito, dai ricordi di infanzia, in cui il volo di un aquilone poteva aprire uno sconfinato senso di libertà – «Andavamo sui monti a far volare/ gli aquiloni il giorno che conoscesti/ le vertigini […]» – e una figura paterna, benevola, sapeva garantire protezione – «e una figura d’uomo guidava/ il gregge. Resse lui, d’un pezzo,/ la tua paura d’essere ingoiato/ dalle altezze […]» –, all’impegno della vita adulta in cui l’infinito passa per una incondizionata accettazione dei propri limiti, unica possibilità per poter continuare ad essere in dialogo con il mondo e tendere al bene: «La sola cosa che hai a cuore/ è la sincerità dell’intento. T’infuria/ chi ha occhi sulla luna e non morde/ dall’alba un nuovo sole».

Lorenzo Fava, Vile ed enorme, Arcipelago itaca Edizioni, Osimo (AN), 2022.