“Contratto”: il modello
che non esiste
Nel cosiddetto contratto tra Lega e 5 Stelle ci sono, com’è noto, molte stranezze, per usare un eufemismo. Una ha suscitato l’allarme del Consiglio italiano del Movimento Europeo che, a firma del presidente Virgilio Dastoli, ne ha chiesto spiegazione al presidente del Consiglio incaricato. Si tratta di una proposta che, se attuata, rovescerebbe i rapporti tra il diritto comunitario e il diritto nazionale. Non proprio un dettaglio, insomma, visto che verrebbe rivoluzionato il principio fondamentale dei rapporti tra l’Unione e gli stati membri. Essa però viene evocata con una certa dose di (involontario?) understatement, subito dopo la riproposizione dell’abolizione del CNEL di renziana memoria. Eccola, come la potete leggere al punto 20 del “contratto”, intitolato “Riforme istituzionali, autonomie e democrazia diretta” : “Altre questioni da affrontare in termini costituzionali sono: l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, istituzione rivelatasi inefficace rispetto agli scopi per i quali era stata concepita, e l’affermazione del principio della prevalenza della nostra Costituzione sul diritto comunitario, in analogia al modello tedesco, fermo restando il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione”.
Il Movimento europeo chiede al presidente del Consiglio in pectore di prendere le distanze da quella pretesa, ricordando che la prevalenza dei valori e dei princìpi dell’Unione “su cui si fondano trattati concepiti a superamento degli anni bui dei due conflitti mondiali” è “la condizione indispensabile per garantire l’uguaglianza di tutte le cittadine e i cittadini, la legalità degli atti europei e il rispetto dei diritti fondamentali, facendo dell’Unione una Comunità di diritto”.
Resta il mistero di quel riferimento alla “analogia al modello tedesco”. Modello che non esiste proprio. Nella Costituzione della Repubblica federale il rapporto tra il diritto nazionale e il diritto comunitario è trattato nell’articolo 23, che esprime un concetto esattamente contrario allo spirito della proposta del “contratto” pentaleghista: “La Repubblica federale di Germania collabora allo sviluppo dell’Unione europea che è fedele ai princìpi federativi, sociali, giuridici e democratici, nonché al principio di sussidiarietà e che garantisce una tutela dei diritti fondamentali sostanzialmente paragonabile a quella della Legge Fondamentale (Costituzione) tedesca”. Si tratta di un concetto del tutto simile a quello affermato in una sua sentenza dalla Corte Costituzionale italiana riguardo al rapporto tra diritto nazionale e diritto comunitario. A tal proposito sarà bene ricordare che le norme del diritto comunitario, comunque, vengono recepite ogni anno in Italia con una legge approvata dal Parlamento, anche se si tratta di una legge ordinaria e non costituzionale.
Ma allora che senso ha quel “facciamo come la Germania”, paese che, oltretutto, non gode certo di molte simpatie né tra i grillini né tra i leghisti? Beato chi lo sa. Possiamo azzardare una spiegazione. Forse gli estensori del “contratto” si sono confusi con quello che venne deciso, qualche anno fa, dalla suprema corte tedesca in merito a un decreto del governo federale di finanziamento del fondo di sicurezza europeo. I giudici di Karlsruhe (la corte si trova in questa città) stabilirono la non conformità alla Costituzione di quel decreto perché esso non era stato discusso e approvato dal Bundestag. Ma attenzione: quello che spinse i giudici a questa decisione non fu affatto una pretesa superiorità della legge tedesca sulle norme europee, ma il fatto che una scelta economica di grande momento fosse stata presa dall’esecutivo senza un’approvazione da parte del Parlamento. I giudici, insomma, posero, giustamente, una questione di democrazia. Denunciarono il deficit di democrazia che caratterizza, troppo spesso, le scelte finanziarie. Tutta un’altra questione, insomma.
Speriamo che in futuro gli esperti dei due partiti di governo abbiano la pazienza di documentarsi prima di scrivere.
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