Il comunismo a misura di quartiere
Un libro su Ciro Principessa 40 anni dopo
Morire pugnalato da un fascista. Ciro Principessa è molto conosciuto nel quadrante est di Roma, tra Torpignattara e la Certosa. C’è un grande murale in via dei Savorgnan. C’è un minuscolo giardino intitolato a suo nome, piccolo quanto la generosità del Campidoglio. C’è un largo spazio nel cuore dei suoi compagni di allora, che sono rimasti un gruppo unito e continuano a fare quel che in altre zone di Roma non si fa più: vivere nel sociale, essere militanti, pensare come migliorare il proprio quartiere e come cambiare il mondo.
Da questo sentimento profondo, che ha dato via a un Comitato di quartiere battagliero (e a un giardino liberato, al gruppo di acquisto solidale e a una biblioteca, a interventi di potatura alberi e pittura di strisce pedonali, e tutti gli anni a una festa molto partecipata) è nato anche un libro. Lo ha scritto Giulio Marcon, raccogliendo le testimonianze di quegli amici, “Morire per un libro. Ciro Principessa, una storia proletaria”, Eretica-Stampa alternativa.
Il 19 aprile 1979
Quaranta anni fa, il 19 aprile 1979, il figliastro di Stefano Delle Chiaie entra nella sezione del Pci di Torpignattara. Nessuno sa chi è, nessuno sa che ha un grosso coltello da cucina. Si avvicina agli scaffali, chiede un prestito un libro, quando gli chiedono un documento rifiuta e esce. Ma rientra subito, arraffa il libro e corre via. I militanti presenti in sezione lo inseguono, lui getta il libro in faccia al primo e accoltella il secondo, Ciro. Lui cade in un lago di sangue, morirà il giorno dopo.
L’assassino sarà arrestato praticamente in flagrante, si era rifugiato in un bar cercando di gettare il coltello nel gabinetto, giudicato incapace di intendere e di volere otterrà una condanna al manicomio giudiziario.
Tutti i compagni lo dicono: quella vicenda ci ha cambiato la vita. Non solo per l’evento traumatico, la morte di un coetaneo. Ma perché in quella giovane vita spezzata in qualche modo ci si specchiavano tutti. Chi era Ciro? Un giovane proletario, così si diceva allora. Uno dei ragazzi che aveva cominciato male la propria vita, spinto dalla povertà a vivere di espedienti e furtarelli. Uno di questi, una decina di salami e mezza forma di formaggio, lo ha portato per un anno e qualche mese in carcere. In carcere ha deciso di cambiare vita, di cercare un suo riscatto. Aveva studiato fino alla prima media, ma era curioso e intelligente, faceva domande, leggeva: soprattutto l’Unità. La diffondeva, anche. In sezione, al Comitato di quartiere, aveva trovato la sua comunità, nel comunismo la sua necessità.
Chi era Ciro Principessa
Così gli amici di Ciro si sono ritrovati mercoledì scorso a Roma, presso la Filt, per discutere del libro e della storia di Ciro con l’autore e con un altro testimone del tempo, Diego Bianchi. Anche lui militante del Pci, diviso tra l’Unità che leggevano i genitori e il manifesto che leggeva la nonna, barricadera maoista.
In quartiere le grandi divisioni ideologiche tra gli ortodossi del Pci e gli extracomunitari sono meno vistose che sui giornali. Importa poco chi s’intesta la battaglia, l’importante è farla, insieme. Che sia l’autoriduzione della bolletta della luce o la richiesta di case popolari. Che sia la passione internazionalista, o la difesa del territorio. Si discuteva, tanto. Ci si trovava, anche, insieme.
E intanto, nota Marcon, si stava chiudendo il ciclo del ’68, le grandi vittorie elettorali della sinistra, il periodo delle riforme. Cominciavano il terrorismo e la teoria degli opposti estremismi, che tanto hanno colpito a sinistra.
“La nostra è stata una storia di amicizia e di politica – dice Ivano Morichelli – che oggi è sempre meno possibile. Ora che la destra comanda anche nei partiti di sinistra”. Allora si facevano gli scioperi a rovescio, si costruiva quel che il comune non aveva interesse a fare: un giardino, le strisce, lo sfalcio dell’erba, una buca da riempire… Si faceva allora, si fa anche ora, almeno alla Certosa.
Storia di amicizia e di politica
“Allora però eravamo un punto di riferimento. In questi anni la partecipazione è scemata – dice Pippo Giuffrida, “sindaco” della Certosa – non si ricorda il bello della militanza, la capacità di affrontare insieme i problemi di tutti i giorni”. Luigi Angelucci ricorda: “Ciro aveva una grande carica umana, una grande curiosità e un rapporto vivo con i compagni”. La sua militanza era un dovere civico, dice Celeste Di Tommaso, la speranza di diventare un paese migliore. Tocca riprendere quel filo, incalza Raffaele Lorusso, che con lui si trovò a partecipare al funerale di Guido Rossa.
“Ciro non era un eroe, era una persona normale – incalza Leonora, la giovane che oggi guida il Comitato di quartiere – non faceva politica per ottenerne benefici che non fossero una formazione personale e culturale. Oggi è diverso, le persone vanno cercate una per una, a casa, si ha paura di discutere, sperimentare, impegnarsi. Ma è da qui che bisogna ripartire, dalle persone e dal territorio. Un mondo diverso è possibile se cambiamo insieme”.
Cos’è la politica, oggi?
Adesso i giovani non sanno con chi parlare di politica, conclude Diego Bianchi. E, citando alcuni servizi fatto per Propaganda live (La7), ricorda che a Torre Maura, a Casalbruciato, a San Basilio, chi ha fatto le lotte, le occupazioni per ottenere la casa popolare le ha dimenticate. E preferisce scagliarsi contro i più poveri.

“ In tv All’aria che tira ho visto una madre di 5 figli che si era incatenata in Campidoglio per chiedere casa – dice Bianchi – ma quando un leghista le ha dato ragione, chiosando che però le case vanno date agli italiani e non ai nomadi, lei lo ha guardato dritta e gli ha detto: non è così che si fa, anche quella è una madre, anche i suoi sono bambini. Non è togliendo a chi ha ancora meno che si risolvono i problemi”.
Riconoscersi è importante, dice Bianchi, pensando al tempo in cui si faceva politica ma poi si votava tutti la stessa cosa. Oggi a fare quel che dovrebbe fare la politica sono rimasti i giornalisti e le Ong, che cercano di ricordare che l’ossessione per la sicurezza è inventata, un paese di 60 milioni di abitanti che si difende da 43 migranti che sono da 13 giorni in mare. “Guardate la Sea Watch a Lampedusa: un partito di sinistra deve stare lì, sul molo, e assicurarsi che quelle persone abbiano un’accoglienza degna, altro che fare gli accordi con la Libia. Sono quegli accordi che ci hanno portato qui”. Fosse vivo, Ciro, sarebbe lì anche lui, a combattere sul molo.
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