Il collasso della Tunisia per la destra è solo un problema securitario
Il governo italiano chiede investimenti all’Europa per evitare il collasso economico della Tunisia con conseguente ulteriore aumento della temuta ’ondata migratoria’. Flussi che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni non sembra in grado di gestire affidandosi unicamente all’approccio securitario ribadito anche con i recenti decreti approvati dal Parlamento. In altri termini, per scongiurare l’”invasione”, si sollecita il sostegno economico al rais di Tunisi, quel Kaïs Saïed che di fatto ha abolito lo Stato di diritto nel suo Paese in nome di una sorta di sovranismo maghrebino con risvolti razzisti motivati, a sua volta, dalla paura di una presunta invasione di migranti provenienti dall’Africa subsahariana.
La deriva autoritaria del regime di Saïed
Il sostegno economico alla Tunisia, non semplice e neppure condiviso da tutti i Paesi membri della Ue, dovrebbe affiancarsi a quello del Fondo monetario internazionale che sta trattando dallo scorso settembre col governo di Saïed un ‘prestito di salvataggio’ di 1,9 miliardi di dollari. Risorse che restano bloccate a causa del rifiuto da parte del presidente tunisino di adottare le misure richieste dal Fmi per risanare il bilancio pubblico: riduzione dei sussidi e ristrutturazione della pubblica amministrazione con inevitabili licenziamenti e tagli agli stipendi. Misure che Saïed non ha neppure preso in considerazione nel timore – sono sue parole – di “una guerra civile”.
Oltre alle riserve dei funzionari del Fondo sull’affidabilità del governo tunisino, si registra anche l’irritazione degli Stati Uniti per l’involuzione politica del Paese con il progressivo restringimento, per usare un eufemismo, degli spazi democratici. Il Dipartimento di Stato – riporta il sito Al Monitor – ha espresso preoccupazione per l’arresto avvenuto nei giorni scorsi del leader del partito islamico moderato Ennahda, Rachid al-Ghannuchi, e di altre personalità dell’opposizione. L’atto di forza – che alcuni temono possa innescare reazioni più radicali e violente di islamici che contestano l’approccio moderato del vecchio leader finito in manette – rappresenta solo l’ultimo episodio di una spirale autoritaria innescata da Saïed, con persecuzioni sistematiche di tutti gli avversari politici, nel luglio del 2021 con il licenziamento del primo ministro e il congelamento dell’attività parlamentare. L’amministrazione Biden – sempre secondo quanto riporta Al Monitor – ha previsto un taglio degli aiuti finanziari alla Tunisia che nel 2024 scenderanno a 68,3 milioni di dollari rispetto ai 106 accordati per l’anno in corso.
Una trattativa difficile
È in questo contesto di diffuse perplessità, crescenti timori e decise condanne per la deriva autocratica di Saïed che si inserisce l’iniziativa europea per un “sostanzioso pacchetto di assistenza macro-finanziaria” annunciato in questi giorni. Il programma di interventi caldeggiato dall’Italia, e sostenuto anche dalla Francia, è anch’esso condizionato – come ribadito dal commissario Paolo Gentiloni nel corso di una visita a Tunisi lo scorso 27 marzo al ministro degli esteri Nabil Ammar – all’adozione del programma stabilito dal Fondo monetario internazionale. L’Europa, così come il Fondo, chiede le riforme e una seria politica di risanamento economico. Ma, nonostante le resistenze in tal senso del leader tunisino, la Commissione sembra voler dare una prova di buona volontà, anche perché nell’interesse di diversi Paesi membri.
A Bruxelles alcuni giorni fa è circolato un documento ufficioso – riportano le agenzie di stampa – che prevede lo stanziamento di consistenti aiuti i cui dettagli dovrebbero essere definiti durante la riunione del Consiglio degli affari esteri in Lussemburgo. Non tutti sembrano d’accordo e si profilano due fronti: uno che vede in prima fila Italia e Francia favorevoli a concedere i sostegni finanziari per garantire la stabilità della Tunisia, l’altro dei Paesi del Nord meno disponibili ad accettare l’insofferenza per le regole della democrazia e per quelle della finanza internazionale da parte del suo presidente.
Fuga dalla Tunisia
Regole delle quali Saïed al momento, peraltro, sembra non preoccuparsi più di tanto. Secondo un collaudato schema da leader populista, ha infatti inveito contro il pacchetto proposto dal Fondo monetario sostenendo di non essere disposto a piegarsi a un ‘diktat’ che avrebbe portato “povertà e disordini” nel Paese preparandosi in tal modo a far ricadere sui funzionari del Fmi la responsabilità dell’eventuale fallimento della trattativa e del default della Tunisia. Una posizione che verosimilmente il rais di Tunisi potrebbe sostenere anche nella trattativa con l’Unione Europea, forte di una popolarità ancora consistente secondo quanto attestato da un recente sondaggio dell’agenzia Emrhod Consulting riportata dal sito La Presse.tn.
Il 65% degli intervistati ha infatti dichiarato che voterebbe per Kaies Said alle prossime elezioni presidenziali, assicurandogli la vittoria al primo turno. Non solo, il tasso di soddisfazione per il suo governo è cresciuto di quattro punti tra dicembre 2022 e febbraio 2023, passando dal 48% al 52%. E nonostante le enormi difficoltà economiche, sempre secondo il sondaggio di Emrhod, il 64% dei tunisini esprime ottimismo per il futuro del Paese mentre solo il 28% si dice pessimista. Verrebbe da chiedersi perché, allora, decine di migliaia si accalcano sulle coste per avventurarsi con imbarcazioni di fortuna nella pericolosa traversata verso l’Italia. Ma questi sono i ‘misteri’ dei regimi dittatoriali. Di fatto Saïed gioca la sua partita con il Fondo monetario internazionale e la Ue puntando sulla sua ‘popolarità’ e anche lasciando trapelare, per vie ufficiose, la possibile adesione ai Brics, il blocco di paesi che include Cina e Russia, come alternativa alla presunta egemonia occidentale.
Affermazioni evidentemente da inserire in una strategia che punta soprattutto a intimorire le controparti nel difficile negoziato che ricorda quello con Erdogan per bloccare i migranti a Est. Una trattativa che vede l’Italia, in caso di eccessive lungaggini o addirittura di un fallimento, quale inevitabile prima vittima del collasso della Tunisia. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha di recente sentito al telefono l’omologo del Paese magrebino, Nabil Ammar che lo avrebbe rassicurato – secondo quanto riporta l’Ansa – su fatto che il suo governo “sta andando avanti con le riforme”. Non resta che sperare.
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