Il caso Benalla mostra
le crepe del sistema
di potere di Macron

Fa sorridere, di certo lascia perplessi, l’accerchiamento praticato negli ultimi giorni dai media francesi intorno a Emmanuel Macron su quello che oramai, a tutti gli effetti, è diventato un « caso ». Sorridere, se non indignare, se paragonato alla servile condiscendenza, mostrata fin dagli albori della sua discesa in campo, anche da media che si auto-definiscono come « progressisti » e che, soprattutto durante la campagna elettorale per le Presidenziali, hanno contribuito a rafforzare e ad imporre la candidatura di un giovane finanziere desideroso di « rompere i partiti » (come ha dichiarato a più riprese) e ripensare le categorie tradizionali del politico, abolendo i riferimenti alle « vecchie ideologie ». Sul caso Benalla, infatti, un attacco sembra essersi scatenato : un attacco contro lo stesso Macron, che appare oggi in grande difficoltà, accerchiato da media amici, apparentemente abbandonato anche da alcuni esponenti del suo governo e del suo partito personale e padronale.

Le immagini di Alexandre Benalla intento a malmenare un manifestante il primo maggio scorso, a Place de la Contrescarpe, nel cuore del Quartiere Latino, sono lì a testimoniare nitidamente le crepe di un potere che fino ad oggi si è creduto invincibile e al di sopra di ogni etica. Nei fotogrammi, Benalla indossa la dotazione delle forze di polizia, a cui sembra integrato ma di cui però non fa parte : è infatti un funzionario a disposizione dell’Eliseo, incaricato di vigilare sulla sicurezza della coppia presidenziale. Alcuni retroscena hanno messo in evidenza i privilegi di cui ha per lungo tempo beneficiato Benalla o il fatto che quest’ultimo disponesse addirittura delle chiavi della casa al mare del presidente. Questioni forse marginali, a dire il vero, ma che il capo della polizia di Parigi, nel corso dell’audizione di lunedì, non ha esitato a definire come « malsani favoritismi ».

Anche un altro dei fedelissimi di Macron, Gérard Collomb, si è smarcato dal presidente, declinando ogni responsabilità nel corso di un’audizione presso la commissione d’inchiesta dell’assemblea nazionale. Nella serata di martedì, confermando l’adesione alle pratiche di personalizzazione del potere che ne hanno caratterizzato l’ascesa, Macron ha da un lato dichiarato di assumersi interamente la responsabilità per quanto avvenuto, dall’altro ha denunciato un vero e proprio « tradimento » nei suoi confronti da parte di Benalla. Il suo discorso sembrava ricalcare la formula di una ministra d’altri tempi, Georgina Dufoix, che nel gravissimo affare del sangue contaminato si dichiarò « responsabile ma non colpevole », infelice espressione che sarebbe in seguito passata alla storia. L’assunzione di responsabilità del presidente, dichiarata in un campo amico (un aperitivo serale dei gruppi parlamentari di maggioranza) e immediatamente rilanciata via etere da alcune ligie parlamentari presenti all’incontro, si è poi trasformata in un atto d’accusa. Contro quello che ha definito a tutti gli effetti un « tradimento » e contro le forze politiche che lo avrebbero strumentalizzato. Ad ogni modo, non si è trattato di certo di un’assunzione di colpevolezza.

Ma quel che resta è la violenza di un fotogramma, l’immagine di un funzionario pubblico, in servizio presso l’Eliseo, incaricato di garantire la sicurezza del Presidente della Repubblica, in qualche modo a lui organico e vicino al movimento politico da lui fondato, intento non a difendere i cittadini ma, al contrario, ad accanirsi su alcuni dei partecipanti alla manifestazione del Primo maggio. Una manifestazione che, tradizionalmente, non è mai stata violenta. Immagini che fanno riflettere e possono suscitare indignazione, ma che ci ricordano anche come la Francia sia attraversata da gravi episodi di violenza compiuti dalla polizia, sovente a danno di cittadini non bianchi, spesso in banlieue difficili.

Mentre a Genova si ricordava l’uccisione di Carlo Giuliani, a Beaumont-sur-Oise, non lontano da Parigi si è tenuta una manifestazione molto partecipata per chiedere verità e giustizia sulla morte di Adama Traoré, deceduto nel 2016 dopo essere stato fermato dalla gendarmerie. Sulla vicenda di Adama si è registrata una mobilitazione importante, anche da parte di alcuni giovani intellettuali che si sono esposti sulla questione e che nel maggio scorso hanno lanciato, con una tribuna su Le monde, un appello a partecipare ad una manifestazione unitaria insieme ai familiari del giovane. Ma la morte di Adama non è che uno dei tanti esempi di violenze esercitate sistematicamente dalla polizia. Lo si è visto durante le occupazioni di facoltà universitarie degli scorsi mesi, per protestare contro la riforma sulla selezione proposta dal governo liberista di Macron, dove in alcuni casi l’intervento delle forze dell’ordine è sfociato in episodi di violenza gratuita. Lo si è visto negli scorsi anni, ad altre latitudini. La morte di Rémi Fraisse durante le manifestazioni ambientaliste contro la costruzione della diga di Sivens, nel Sud della Francia, ha mostrato ancora una volta quali sono le pratiche che, in contesti di conflitto, vengono adottate dalle forze di polizia.

In questo contesto, il caso Benalla mostra le crepe di un potere incapace di gestire il dissenso e desideroso di mostrare ed esercitare la propria forza, come è accaduto in occasione di numerose manifestazioni popolari durante gli scorsi mesi. Un dissenso generato da politiche di classe sempre più violente e radicali, sostenute da un consenso ridotto e da un’assenza di vera legittimazione nel Paese: Macron al primo turno è stato votato da una minoranza di elettori e, allo stesso modo, il sistema elettorale iper-maggitorario per l’elezione dei deputati contribuisce a deformare la rappresentanza e a comporre quindi un Parlamento non rappresentativo.

I calci e i colpi di Benalla sono così il simbolo delle crepe di un potere che per molto tempo si è creduto al di sopra del diritto e dell’etica; che con le sue pratiche ha ridotto gli spazi di espressione del dissenso; che, istituzionalizzando lo stato di eccezione (Agamben ha scritto in tempi non sospetti un saggio illuminante in merito, Stato di eccezione, appunto), ha creato una zona grigia dove il monopolio nell’uso della violenza è apparentemente privo di limiti. Che Benalla fosse così vicino al Presidente ( e che lo sia rimasto anche in seguito alla scoperta del fatto, nei giorni immediatamente successivi) è politicamente grave e inaccettabile. Ma quei colpi e quei calci non sono diversi da quelli che si vedono in centinaia di altre manifestazioni, a danno di militanti sindacali, studenti e lavoratori. A sferrarli lo stesso potere, che forse ora è più nudo e sbrecciato di prima.