Quei giovani tedeschi
del SPD che riscoprono
il socialismo

“Parlavo sul serio”. Kevin Kühnert, non ancora trentenne presidente federale degli Jusos, l’organizzazione giovanile della SPD, non fa marcia indietro. Ha piazzato una bomba sotto il terreno, già minato di suo, d’una Germania avviata verso una prova elettorale su cui si affaccia lo spettro dell’ultradestra e verso la chiusura, un po’ triste e carica di molte incertezze, dell’era di Angela Merkel, mentre dagli indicatori economici vengono segnali che dicono, anch’essi, che anche qualcos’altro sta per finire: il modello tedesco non è più quel gioiello che fu.

Una bomba. E ora pare che il giovane Kühnert si compiaccia di registrare l’onda d’urto. Le sue idee per rilanciare il socialismo, raccontate in una lunga intervista alla “Zeit”, rivista liberal e molto curiosa di tutte le novità che si agitano sotto la superficie della Repubblica di Berlino, hanno acceso una discussione come in Germania non se ne vedevano da anni sui massimi sistemi e le Grandi Domande. Un segno di vitalità, non c’è dubbio, comunque la si giudichi e dovunque vada a parare.

Kevin Kühnert

Poiché – come vedremo – il socialismo ritrovato del capo degli Jusos passa per una socializzazione della grande industria, in primo luogo quella dell’auto, e del mercato immobiliare, le reazioni più dure alle sue prese di posizione sono venute dalle organizzazioni degli industriali e dal mondo della finanza. Il Direttore Generale della BDI, la Confindustria tedesca, Joachim Lang ha bollato le idee espresse nell’intervista come “roba del passato” che segnalerebbero l’”immaturità” di chi le ripropone. Consonanza piena con i giornali della destra, soddisfattissimi di aver trovato un “socialista nostalgico di Marx e della DDR”, uno che vuole “espropriare la BMW” da additare al ludibrio, e con diversi esponenti dell’Unione dei partiti democristiani.

Reazioni ovviamente scontate. Certo più interessanti sono quelle che le idee del capo degli Jusos hanno suscitato a sinistra, a cominciare dai “grandi” del suo partito. Il segretario generale della SPD Lars Klingbeil si è precipitato a precisare seccamente che le proposte indicate nell’intervista non sono in alcun modo previste nel programma socialdemocratico. E anche la presidente del partito Andrea Nahles ha pensato bene di prendere le distanze. Pur se lo ha fatto in modo molto meno drastico. Kühnert – ha detto – pone le domande giuste, ma dà risposte non condivisibili. La mitezza della critica deriva probabilmente non solo dal fatto che Nahles è stata la madrina politica di Kühnert, che proprio lei volle alla guida dei giovani socialisti a Berlino quando, tra il 2009 e il 2013, fu presidente federale dell’organizzazione, ma anche dalle posizioni, abbastanza connotate a sinistra, che pure lei ebbe ad esprimere a suo tempo.

Ma che cosa c’è di “non condivisibile” nelle posizioni espresse dal giovane socialista nell’intervista alla “Zeit”? Che cosa è indigeribile per un partito che si vuole di sinistra e riformista?

Non, certamente, quello che Kühnert afferma nella prima risposta alla domanda dell’intervistatore che gli chiede che senso abbia, oggi, dirsi “socialista”: essere socialisti è volere “un mondo di uomini liberi in cui i bisogni della collettività prevalgano sulla ricerca del profitto”. Si tratta, si ammetterà, del minimo sindacale per ogni partito che si dica socialista e/o riformista. Una risposta edificante ma un po’ vaga e allora all’intervistato viene chiesto di prendere posizione sul merito della definizione storicamente definita del termine “socialismo”: la socializzazione dei mezzi di produzione. È questo che lei vuole?

E qui si entra nel vivo. O, se preferite, si esce dal seminato della teoria politica su cui s’è costruita la strategia del partito socialdemocratico tedesco, almeno dal congresso di Bad Godesberg (1959) in poi. Ciò che determina la nostra vita – dice Kühnert – deve essere “nelle mani della società ed essere dalla società stessa connotato democraticamente”. Occorre una “democratizzazione di tutti gli ambiti della nostra vita”, nella quale le persone possano perseguire i propri bisogni. Secondo il giovane socialista questa connotazione sociale e democratica della produzione e dell’economia non è realizzata dal modello dell’”economia sociale di mercato”, ovvero il modello capitalistico addolcito e umanizzato dal welfare su cui si basa la dottrina economico-sociale della Repubblica federale, perché essa realizza le proprie promesse per una certa quota della popolazione ma non per tutti: oggi la grande maggioranza degli esseri umani, nel mondo in generale ma anche in Germania, “non lavorano per soddisfare i propri bisogni, ma per soddisfare la fame di profitto di altri”. Ci sono persone che posseggono i capitali e persone che producono quei capitali. I possessori di capitali nella nostra società non sono necessariamente proprietari di fabbriche. Ci sono anche persone che hanno grosse proprietà immobiliari, grandi partecipazioni azionarie o fondiarie. Anch’essi fanno “lavorare” i loro capitali da altri: si tratta di una “libertà” di cui nella nostra società dispone solo una piccola minoranza, mentre per la stragrande maggioranza l’accesso al patrimonio è di fatto negato.

Andrea Nahles

Perché si realizzi la democratizzazione della vita economica è necessario che il pubblico prevalga sul privato ed ecco le proposte più coraggiose, fino alla provocazione, che il giovane socialista mette sul tavolo. Le grandi industrie, a cominciare da quella dell’auto, debbono essere governate con una logica pubblica. Non mi interessa – dice Kühnert – se sul logo della BMW ci sarà scritto “prodotto di un’impresa statale” o “prodotto da una cooperativa”: l’importante è che la produzione dell’azienda sia orientata non al profitto di pochi ma al benessere di molti. E, altra affermazione contro cui è stata schierata l’artiglieria di tutte le destre (e di una parte della SPD), bisogna rompere il monopolio di potenza della grande proprietà immobiliare. I cittadini tedeschi dovrebbero poter possedere una sola casa, quella in cui vivono.

La critica di Kühnert ai limiti della soziale Marktwirtschaft riecheggia in qualche modo le teorizzazioni sulla “società dei due terzi” che ebbero corso nella sinistra tedesca (anche dentro la SPD) diversi anni fa, ma soprattutto suona come una critica alle politiche acriticamente schierate sul modello capitalistico che, a giudizio di molti, furono adottate dalla socialdemocrazia tedesca soprattutto negli anni a cavallo del secolo, quando l’allora cancelliere Gerhard Schröder, in consonanza con quanto andavano teorizzando gli esponenti del “nuovo corso” o della “terza via”, da Tony Blair a Bill Clinton, rivide e ridimensionò il welfare con la sua famosa (o famigerata) Agenda 2010.

Non è certo necessario sottolineare quanto possa essere controverso il ragionamento del capo degli Jusos nelle file della SPD. La quale si trova, come si sa, in una fase delicatissima, con un consenso elettorale in calo costante e la minaccia di un vero e proprio collasso nelle imminenti elezioni europee. Le teorie di Kühnert, d’altra parte, potrebbero avere presto un riscontro politico pratico. Lui fu, a suo tempo, il più feroce oppositore alla scelta dell’establishment del partito di accettare la riproposizione della grosse Koalition con Angela Merkel. Quando, passate le elezioni con il carico di guai che potrebbero portare, la cancelliera se ne andrà, la SPD dovrà riconsiderare la scelta di allora e mettersi alla ricerca di una politica nuova, di un nuovo sistema di alleanze e di un’identità. Il giovane Kühnert ha le chance per essere uno dei protagonisti della fase nuova che si aprirà. E forse potrebbe esserlo anche Andrea Nahles, che la scelta della grosse Koalition la sostenne obtorto collo solo in nome di uno scrupolo verso l’interesse nazionale che obbligava a un governo quale che fosse, ma che potrebbe ritrovare la sua vecchia anima di sinistra. Nella consapevolezza che i partiti di sinistra vincono solo quando fanno politiche di sinistra.