Ieri l’olio tunisino, oggi l’invasione. Come cambia la retorica di Giorgia Meloni da premier

Ricordiamolo: “Se cede la Tunisia, si rischiano 900 mila partenze”. Sono parole della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Pronunciate dalla sede di governo più alta. La Tunisia preoccupa, in effetti. E, dunque, c’è frenesia nella narrazione del governo di destra, perché si allontani al più presto la minaccia dell’”invasione”. Il bluff del blocco navale è stato presto svelato. Ed ora c’è tutto un correre affannoso ad “aiutare l’economia della Tunisia” per evitare guai maggiori e la fuga di massa da quel Paese. Si cercano sponde nel Fondo monetario e nell’Unione europea.

Fondi europei per sventare la minaccia d’invasione dei migranti

Giorgia Meloni e Matteo Salvini

“A Tunisi, a Tunisi”! È il grido unanime. Si evoca addirittura un “Piano Mattei”, preferito adesso a Marshall (piaceva di più a Berlusconi), si mostrano fior di quattrini a quelli della sponda africana se riusciranno a tener buoni i migranti accampati sulle spiagge, scoraggiandoli ad imbarcarsi sulle carrette di cartone. Ecco, questo è il quadro degli ultimi giorni. Stanno tutti pancia a terra – Meloni, Tajani, Salvini, Piantedosi – intenti a scongiurare la breccia tunisina che potrebbe, dicono loro, far confluire centinaia di migliaia di persone sulle nostre coste. Dunque, forza con gli aiuti economici, si superino le resistenze di Kristalina Georgieva, la presidente del FMI, si faccia più pressione su Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue: aiutiamo la Tunisia e salviamo l’Italia (e l’Europa).

Otto anni fa, l’attentato Isis al Bardo

S’impone, però, un passo indietro per raccontare una vicenda dimenticata ma illuminante. Il 18 marzo del 2015, otto anni fa, i terroristi dell’Isis compirono un attacco al Museo archeologico del Bardo, nella periferia di Tunisi: vi furono 24 morti (due tra i terroristi) e 45 feriti, tutti turisti sbarcati da navi crociera (4 italiani uccisi e 11 feriti). Se ricordate, il massacro suscitò una forte impressione e sdegno nel nostro Paese. Da quel momento iniziarono i timori per i destini della Tunisia.

A Bruxelles la Commissione europea lanciò l’idea di portare un primo aiuto economico alla Tunisia, proprio per incoraggiare quel Paese a superare le gravi difficoltà del momento e si fece strada la proposta di aiutare, con un atto legislativo concreto, il settore agricolo, aumentando per due anni consecutivi, il 2016-17, la quota di olio tunisino destinato al mercato comunitario. Il provvedimento prese corpo e, dopo alcuni mesi, il Parlamento europeo approvò definitivamente il Regolamento che consentì l’importazione in deroga, senza dazi, di ulteriori 70 mila tonnellate di olio tunisino nell’Ue e, quindi, anche in Italia.

La decisione sull’olio tunisino violentemente attaccata da destra

Il voto di Bruxelles scatenò una reazione durissima da parte delle forze di destra che votarono contro con la motivazione che, così operando, si sarebbe arrecato un serio danno all’economia italiana, alla nostra produzione agricola e al superbo olio italiano. Fiumi di dichiarazioni antieuropee nel nome della difesa del “made in Italy”. A questo coro indecente si unirono i Cinquestelle ed anche alcuni esponenti del Pd (tra gli altri, le deputate europee Bonafè e Giuffrida votarono) parlarono di “errore” e di “concorrenza sleale”.
Si rammenta, invece, una strenua difesa del provvedimento da parte del compianto presidente del PE, David Sassoli. Tuttavia, preme molto mettere in risalto come commentò l’aiuto alla Tunisia, peraltro parzialissimo e quasi insignificante, la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, la stessa che adesso si affanna a chiedere urgenti risorse economiche europee ed internazionali.

La stessa destra che oggi pietisce aiuti alla Tunisia

Sulla scia di Salvini che gridò “Vergogna”, la futura presidente del Consiglio tuonò: “Ennesima bastonata dell’Unione europea all’Italia che, per aiutare la Tunisia, decide di mettere in ginocchio i nostri agricoltori e le nostre eccellenze. Il Made in Italy calpestato grazie a questi governanti italiani servi delle lobby e valletti della Germania, che fanno gli interessi di tutti tranne che della nostra Nazione”. Una reazione rabbiosa, l’urlo sovranista contro 70 mila tonnellate d’olio. Adesso ci sono in gioco quasi due miliardi di dollari e Meloni, alla prese con la gestione dell’immigrazione, si fa volentieri valletta del Fondo monetario.