I vaccini, Camilla, la fretta di ripartire senza sapere più aspettare

Per quanto si muoia da sempre, giovani e vecchi, alla morte non ci si abitua mai. Il Covid però ha cambiato le carte in tavola. Di fronte al bollettino quotidiano, duecento, trecento, quattrocento morti, vecchi e giovani, fino a contare centomila o centotrentamila morti, nella ripetizione meccanica dei casi, l’indifferenza ha preso campo, magari come arma d’autodifesa contro le nostre paure, forse come ulteriore sintomo di un degrado morale che non è certo conseguenza del temibile virus. Individualismi, egoismi, in una società in crisi di ideali e di speranze, opulenta e spensierata, giovanilista e salutista (in preda a qualsiasi integratore la televisione raccomandi). Quante volte abbiamo sentito ripetere: beh, tanto sono vecchi, dovevano pur lasciarci. Dimenticando che tra quei vecchi si sono dovuti contare individui di tutte le età. Anche ragazzi, come la ragazza di cui abbiamo letto in queste ore,una diciottenne che non ha sopportato le conseguenze della prima dose di una vaccino assai contestato… Poi si capirà perché è morta: per colpa di Astrazeneca, per colpa di una malattia pregressa, per colpa di una insufficiente vigilanza da parte del personale medico o di una sottovalutazione. Per altri motivi. Chi può rispondere ora? Nessuno, però molti si contendono il diritto di fornire la propria opinione e sempre, purtroppo, alla luce di un pregiudizio, che non è scienza, ma solo dogmatica convinzione, presunzione, ignoranza che si appella ad un incognito “sentito dire”. I social fanno opinione come fanno opinione Radio Maria o tante altre radio, magari democraticissime radio che non esitano ad aprire il microfono a chiunque abbia voglia di chiamare, protestare, professare la propria fede, sentenziare. Credo che la politica avrebbe avuto il compito di raccogliere quelle voci, di interpretarle però, di indirizzarle secondo i propri strumenti di conoscenza, avendo a disposizione una pletora di esperti, di istituti scientifici, di ricerche. Peccato che in Italia una buona parte della politica abbia agito in direzione opposta, assecondando piuttosto che guidando, in una esasperata caccia al consenso e quindi al voto, sposando le battaglie più imprudenti, incitando a mediocri ribellioni d’interesse, persino sventolando la bandiera della libertà, come se stessimo vivendo in un regime dittatoriale, solo perché veniva richiesto il rispetto di qualche regola. Mi chiedo se la povera Camilla non sia stata vittima di tutto questo, peraltro alla soglia di quello che potrebbe rappresentare la fine di un incubo, una fine non ancora vicina, ma che si potrebbe intravvedere e che ha accelerato la dismissione della prudenza e dei vincoli. Inutile prendersela con Astrazeneca, invocare un vaccino piuttosto che un altro. Ho sentito ripetere: ci hanno imposto il ruolo delle cavie. Mi pare che qualsiasi medicina, persino l’antica aspirina, ci imponga il ruolo delle cavie. I vaccini contro il Covid sono nati in pochi mesi, ovvio che si faccia noi, “sulla nostra pelle”, la sperimentazione di massa, per quanto secondo licenze concesse da organismi scientifici internazionali, dei quali ci si deve fidare. Inevitabilmente, senza alternative. Vedremo alla lunga gli effetti. Intanto il primo effetto è stato raggiunto: stiamo tutti meglio, meno contagiati, più tranquilli.

Noi ci mettiamo la fretta, la fretta di riprendere il lavoro, la fretta di rilanciare l’economia, persino la fretta di tornare a scuola e poi di chiudere le scuole per la fretta di andare in vacanza. Questioni economiche più che lecite: ristoranti strapieni, mentre si rianima la movida, prenotazioni di aerei, di teatri, di musei, ansie culturali, eccetera eccetera… all’insegna del detto: “Vogliamo tornare alla vita”. Non tutti…

Mi ha colpito una immagine, non so se di Roma o di Milano, code di giovani in attesa paziente di vaccinazione: per la propria salute o per il lasciapassare a un viaggio all’estero?

Chi lo sa. Il sospetto è forse una cattiveria. Sta di fatto che abbiamo costruito una società che non sa aspettare e non sa rinunciare, inconsapevole di fronte a scelte e a domande che pure appaiono vitali, che riguardano le idee di salute, di rischio, di cura, di responsabilità: a che cosa mi sento di rinunciare per salvaguardare la mia condizione di sano? Quanto sono disposto a rischiare di ammalarmi, pur di continuare in atti che io ritengo indispensabili alla mia esistenza? che cosa sono disposto a sacrificare: il lavoro, lo studio, le amicizie, l’aperitivo, la cena, adesso la partita con gli amici? quanto può valere il bene comune in confronto ai miei desideri?

Credo che tra i bambini della nostra ultima guerra o tra i ragazzini che giocano a pallone tra le macerie in Siria queste domande non avrebbero avuto e non abbiano senso: il mondo grande e terribile è capace di imporre le sue risposte. Il nostro mondo è grande ma sa essere meno terribile, perché tutto si compera, anche la sua benevolenza. Infatti tiene al benessere di una parte almeno di noi, i ricchi dell’Occidente, perché del nostro benessere felicemente vive e prospera. Tutto sommato ha saputo orchestrare bene lo spartito: polemiche dissapori divergenze spettacolarizzazione hanno alimentato dubbi e rivolte contro la cautela e, in fondo, contro un governo che avrà sbagliato molto (ma non saprei dire quando e perché, se non per una scarsa tenuta di fronte all’invocazione delle riaperture), hanno mosso il frastuono dei network, hanno mostrato la riluttanza del paese a seguire una strada condivisa. Pare proprio che gli italiani facciano fatica a vivere con senso di responsabilità e di misura le indicazioni di un ministro che discute, irresponsabili più che “anarchici”, eredi di un “menefrego” di orrida memoria.