I millennials norvegesi
dal futuro garantito
Stanno meglio di anno in anno, dal punto di vista socio-economico, i millennials norvegesi. Lo dicono le nuove ricerche del centro Luxembourg Income Datebase e lo conferma il gruppo di studio britannico The Resolution Foundation. I norvegesi nati fra i primi anni Ottanta e il 2000, lasciati i genitori, possono contare su un proprio reddito netto familiare di 48.000 euro netti all’anno, pagate le tasse e le spese fisse. A differenza di tutti gli altri Stati europei, dalla Germania alla Grecia, i giovani norvegesi sanno con certezza che staranno meglio dei loro genitori. Oggi il primo stipendio atteso dai neolaureati è in media di 4.800 euro al mese. Per tutti i cittadini, includendo ogni mansione e qualifica, il salario medio mensile netto è di 3309 euro, lordo di 4.670.
La Norvegia è il maggior produttore di petrolio dell’Europa occidentale, ma per legge non può spendere più del 4% di ciò che incamera con le estrazioni. Tutto il resto va nel fondo sovrano nazionale, il più ricco del mondo, che supererà il trilione di dollari entro un anno e mezzo. Nell’agosto 1969 la piattaforma petrolifera Ocean Viking trovò nel Mare del Nord l’oro nero. Quattro mesi dopo la Norvegia, con l’oculatezza della madre di famiglia, decise che solo una minima parte dei proventi andava utilizzata, per mettere al sicuro chi sarebbe nato dopo. Il governo, guidato dalla rassicurante conservatrice Erna Solberg, al suo secondo mandato, ha speso dal 2013 ad oggi 221 miliardi a sostegno di economia, occupazione, istruzione, welfare grazie alla “piccola” somma disponibile del forziere alimentato dal greggio. Tutto il resto delle entrate non si tocca perché, come recita il motto del fondo sovrano, “lavoriamo alla tutela e alla costruzione del benessere finanziario per le future generazioni”.
Una sezione speciale della Banca centrale del regno gestisce questa ricchezza e investe in 9000 compagnie di 77 Paesi controllando l’1,3% dei listini del mondo. Una percentuale sbalorditiva per un Paese che ha lo 0,3% della popolazione del globo. Un decreto del 2004, emanato da re Harald V, stabilisce che mai si potrà investire, direttamente o indirettamente, “in compagnie che contribuiscano a violare i diritti umani, a uccidere, torturare o privare arbitrariamente della libertà”. Per questa ragione, a più riprese, il fondo si è ritirato da operazioni con imprese straniere che non avevano i requisiti di integrità previsti.
C’è anche un motivo di politica economica alla base della scelta di mettere da parte i soldi del petrolio. Gli economisti norvegesi misero subito in guardia il governo dal “male olandese”. Il nome deriva dalla scelta fatta a suo tempo nei Paesi Bassi: quella di utilizzare la ricchezza generata dallo sfruttamento delle risorse naturali (il gas di Groningen) indebolendo il settore manifatturiero. Questo porta alla deindustrializzazione, all’aumento del tasso di cambio e quindi a un declino delle esportazioni. I servizi pubblici finiscono per essere invischiati con gli interessi privati che cercano investimenti facili.
In Norvegia, anche se da cinque anni governano i conservatori assieme ai liberali e ai populisti del Partito Progressista, il modello sociale resta egualitario. Hilde Bjørnland, docente di economia alla Business School di Oslo, sottolinea in un’intervista alla BBC, come il doppio vincolo sui proventi del petrolio, (spendere solo ciò che serve per opere sociali, risparmiare tutto il resto per i futuri cittadini), sia vincente. “In questo modo – spiega – piuttosto che avere pochi che prendono tanto, abbiamo tanti che accedono, oggi e domani, alla ricchezza. Con parsimonia e su un piede di parità nei bisogni importanti”. L’anno scorso la Norvegia era il primo Paese su 110 nell’indice di prosperità del Legatum Prosperity Index. Prosperità e non solo ricchezza. Pur non facendo parte dell’Unione Europea, dopo un referendum che nel 1972 aveva espresso un parere di misura negativo, la Norvegia è un partner collaborativo grazie ad alcuni trattati economici e culturali. E’ anche un Paese che guarda al mondo: ha stanziato l’anno scorso 500 milioni di dollari per l’educazione nelle nazioni impoverite. L’alto costo della vita è bilanciato da un benessere generale. L’ultima carestia, alla fine dell’Ottocento, provocò 270.000 morti nella Scandinavia. Oggi ricca, parsimoniosa, pronta ad aiutare, la piccola Norvegia sta lì a dirci che ogni Paese ha, in misura diversa, il suo “oro”. Scoprirlo e farlo fruttare sempre e solo per la comunità è una responsabilità consegnata a ciascuno.
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