I media e gli stereotipi sui migranti, perché non si rispetta la Carta di Roma?
Davanti a fenomeni nuovi come quello migratorio è normale porsi la domanda di come raccontarlo correttamente, nella descrizione dei fatti e nell’uso corretto delle parole, perché “le parole sono pietre” e se utilizzate in modo approssimativo possono far male. Questa consapevolezza spinse la FNSI e l’Ordine dei Giornalisti ad adottare la Carta di Roma, un codice deontologico che intendeva dare strumenti e indicazioni su come svolgere il difficile lavoro del giornalista davanti a un fenomeno, come quello dell’immigrazione in Italia, che nel 2008 appariva ancora poco conosciuto e veniva spesso raccontato con luoghi comuni.
Fu una scelta intelligente e che rappresentò un salto in avanti notevole nel modo di approcciarsi al tema e che ha contribuito a rendere più aderente alla realtà la narrazione sui migranti, uscendo dagli schemi che troppo spesso hanno oscillato fra una visione pietista, che descriveva in chiave buonista l’immigrato come una persona sempre bisognosa d’aiuto e un’altra allarmista, secondo la quale gli immigrati erano fonte di guai e di scontro fra culture. La realtà – assai diversa – si colloca fra questi due estremi, riguarda milioni di persone, tutte differenti fra loro con storie, talenti, sogni e possibilità diverse. Un processo antropologico, prima che sociale, difficile da cogliere e da spiegare e che ha agito con forza all’interno della società italiana, trasformandola profondamente. Un cambiamento ancora in corso la cui narrazione è un compito difficile e delicato per la complessità che affronta, ma ineludibile e necessario.
Una sfida raccolta
Una sfida questa raccolta con lungimiranza dal mondo dell’informazione, che consapevolmente si dotò di un codice deontologico ad hoc per affrontarla. Della Carta di Roma mi ha sempre colpito il suo punto 2 che opportunamente recita: “Evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti. CNOG e FNSI richiamano l’attenzione di tutti i colleghi, e dei responsabili di redazione in particolare, sul danno che può essere arrecato da comportamenti superficiali e non corretti, che possano suscitare allarmi ingiustificati, anche attraverso improprie associazioni di notizie, alle persone oggetto di notizia e servizio; e di riflesso alla credibilità della intera categoria dei giornalisti”.
Si pone qui la giusta attenzione alla scelta dei termini e ad evitare associazioni improprie che possano suscitare allarmi ingiustificati. Nonostante questo però errori di questa natura si ripetono, anche in testate solitamente attente e sensibili ad affrontare il tema nella giusta luce. Recentemente, ad esempio La Repubblica, nel raccontare un’indagine su fatti di terrorismo che vede coinvolti alcuni cittadini tunisini residenti in Italia, usa nel titolo la parola “migranti”, cadendo anch’essa così nell’errore di associare i migranti – in generale – al terrorismo. Sicuramente una cosa non voluta in questa occasione, nell’articolo infatti tutto è riportato nel suo giusto contesto e senza generalizzazioni fuorvianti, ma proprio questo dimostra quanto il tema possa nascondere insidie se approcciato con leggerezza e conferma come si debba insistere e vigilare perché certe cose non accadano di nuovo. Associazioni improprie come questa, finiscono con il sedimentarsi nel senso comune, con il rischio di rafforzare l’idea che sia accettabile considerare i migranti come un’unica categoria, fatta di persone pericolose. Viviamo una fase storica di grande incertezza economica, nella quale le destre xenofobe e razziste speculano sulle paure della gente, alimentando “guerre fra poveri” per un pugno di voti. Una deriva culturale di estrema destra, che da anni attraversa tutta Europa, alimentata da bugie e mezze verità, davanti alla quale è necessario più che mai informare bene, scegliendo le parole giuste.
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