I generali dichiarano guerra ai civili. Myanmar sull’orlo del baratro

Serata in smoking per i vertici militari birmani che celebravano se stessi, indifferenti alla carneficina compiuta nella giornata delle forze armate, tra una parata e un brindisi con ospiti di riguardo. Le vittime degli attacchi di sabato scorso sono 114, una cifra che aggiorna a 440 la contabilità delle persone uccise dal colpo di stato del 1° febbraio. Tra di loro giovanissimi e persino bambini, uccisi sparando a caso sulla folla, sui passanti, sulle finestre e le facciate delle case.

Un militare spara dentro una casa, foto da Twitter

“Sono corsa a chiudere le porte, quando ho sentito avvicinarsi i militari. Non sono stata abbastanza veloce”, è il racconto della madre di Pan Ei Phyu, 13 anni, uccisa da un colpo al torace che l’ha raggiunta tra le pareti domestiche. “E’ la casualità degli omicidi che è particolarmente scioccante – commenta la Bbc birmana -. Le forze di sicurezza sembrano intenzionate a colpire con armi da guerra chiunque vedano per la strada. Hanno mostrato di essere capaci di una brutalità di scala maggiore da quella che abbiamo visto dall’inizio del golpe”.

Salto di qualità

La repressione in Myanmar ha subito un salto di qualità. I generali non rinnegano niente, lo hanno ribadito anche dal palco della parata militare – alla quale hanno presenziato delegazioni diplomatiche di otto Paesi, incluse Cina e Russia, solo quest’ultima rappresentata da un esponente di alto rango come il vice ministro della difesa Alexander Fomin, a testimoniare la rinnovata cooperazione militare di Mosca con i generali. Le proteste che non sono mai cessate dal golpe, seguito alla larghissima vittoria elettorale del partito di Aung San Suu Kyi, sono state liquidate come atti di terrorismo. Il generale Min Aung Hlaing, che guida la giunta militare, ha detto di voler salvaguardare la democrazia. Ma non è quello che si vede nelle foto e nei video che arrivano dal Myanmar da settimane. Civili uccisi per il solo fatto di aver mostrato le tre dita unite nel segno della protesta. Violenze arbitrarie, come quella subita da Aye Ko, padre di quattro bambini: sparato e gettato nel fuoco a Mandalay. O come l’attacco indiscriminato contro i partecipanti dei tanti funerali che si celebrano in queste ore. “Dovreste imparare dalla tragedia di quelli che sono morti che rischiate di essere colpiti da un proiettile alla testa o alla schiena”, l’avvertimento diramato dai militari tramite la tv di Stato.

Una sorta di dichiarazione di guerra contra la propria gente. Il terrore usato come un’arma contro i civili per imporre il silenzio ad una società che si ribella in massa con gli scioperi che hanno paralizzato l’economia, gli ospedali, le scuole. Con le proteste per le strade e quelle tre dita alzate in segno di sfida. O le ambasciate birmane all’estero che si dissociano dai generali.

Le reazioni

“Un esercito professionale segue le regole di condotta internazionale e la sua responsabilità è proteggere, non colpire, il popolo che serve”, ricordano in una nota congiunta i dodici ministri della Difesa di Australia, Germania, Canada, Corea del Sud, Danimarca, Stati Uniti, Grecia, Italia, Giappone, Nuova Zelanda, Paesi Bassi e Regno Unito. Le dichiarazioni di condanna si moltiplicano, ma il Consiglio di sicurezza dell’Onu non è riuscito ad andare oltre un generico appello a cessare le violenze, per il veto di Russia e Cina. E le sanzioni Usa e Ue che colpiscono i vertici militari non sembrano far male davvero.

Pechino in realtà comincia a mostrare qualche imbarazzo. Le violenze nel Paese vicino non sono il clima ideale per portare avanti i piani di sviluppo per lo sbocco nell’Oceano indiano e per l’oleodotto che deve fornire un percorso alternativo al petrolio che arriva dal Medio Oriente. La Cina è il principale investitore in Myanmar e mal tollera l’instabilità creata dal colpo di stato militare, per questo si confida nella possibilità che Pechino trovi un terreno di mediazione. Non è facile, perché i generali non sono intenzionati a considerare Aung San Su Kyi – ancora agli arresti in un luogo sconosciuto – come interlocutrice. La strada è tutta in salita.

Rischio guerra civile

La ferocia dei militari rischia di precipitare il Paese in una guerra civile. Asimmetrica, per la disparità di forze militari, ma fondata su una larga resistenza popolare: più che paura la repressione semina rabbia. Già si registrano scontri tra le forze armate e gruppi etnici ribelli, presso i quali sarebbe cominciato l’addestramento militare di militanti pro-democrazia. Il governo ombra, formato dai rappresentanti eletti nelle elezioni cancellate dalla giunta, suggerisce la possibilità di far convergere le forze per combattere i generali, che appaiono più isolati di quanto non lo fossero al momento del colpo di stato. Il bagno di sangue è assicurato, a meno che non si apra uno spiraglio diplomatico.