I funerali dell’anarchico Pinelli: un’opera
che Milano ha il diritto di vedere

Tra pochi giorni saranno passati cinquant’anni dal 12 dicembre 1969, il giorno della Strage di Stato. Sono tantissime le iniziative pubbliche, i ricordi, i convegni promossi per ricordare le vittime di piazza Fontana. Arriverà anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Tra tante manifestazioni forse manca un gesto semplice che avrebbe però un grande significato per la memoria dei milanesi. Sarebbe ora che Milano trovasse uno spazio definitivo e adeguato per mostrare I funerali dell’anarchico Pinelli diventato nel corso degli anni il quadro che non si può vedere.

È una creazione di Enrico Baj che non trova pace, viene mantenuta lontano dagli sguardi dei cittadini, a volte compare per un breve periodo e poi ripiomba nel buio. Una storia senza fine, così come tutte le vicende che iniziano con la strage del 12 dicembre, ma che potrebbe anche arrivare a una conclusione con un po’ di buon senso e di volontà: una città che crea i 10% del Pil nazionale, in testa a tutte le classifiche, corteggiata e apprezzata, può finalmente destinare un luogo pubblico per ospitare un’opera d’arte dedicata a un ferroviere anarchico morto cinquant’anni fa precipitando da una stanza della Questura dov’era trattenuto illegalmente. Sindaci e amministratori, anche in anni recenti, si erano impegnati a trovare una sede definitiva per il quadro dedicato alla “diciasettesima vittima della strage”, come disse l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Si era parlato del Museo del Novecento, poi di una stanza nella nuova Brera… non si è fatto nulla, anche se il sindaco Giuseppe Sala potrebbe fare una sorpresa nei prossimi giorni. Speriamo.

Riferimento a Guernica

L’opera è di grandi dimensioni, ha bisogno di spazio. Si tratta, infatti, di una composizione modulare, formata da 12 pannelli smontabili, con una dimensione di tre metri per dodici. Le figure sono ritagliate su sagome di legno e assemblate con la tecnica del collage, tipica dell’artista milanese. Il centro della scena è occupata dall’urlo della morte del ferroviere, a sinistra assistono alla tragedia undici anarchici e le due figlie Claudia e Silvia Pinelli. La moglie Licia è in un angolo, a destra, in ginocchio. Davanti a lei sette poliziotti, con le medaglie sul petto e rotelle al posto degli occhi. Il riferimento più diretto dell’opera è a Guernica di Picasso, il secondo è un omaggio al futurismo di Carrà de I funerali dell’anarchico Galli (1911). Baj aveva rappresentato nel suo lavoro il dolore, la paura, la tensione di quegli anni, la commozione per la morte violenta di Pino Pinelli.

Giuseppe Pinelli

I funerali del ferroviere al cimitero di Musocco del 20 dicembre 1969, a cui si ispira Baj, restano una pagina dolorosa e una testimonianza di resistenza. Gli anarchici, i militanti che sentivano la pesante minaccia del terrorismo fascista coperto dallo Stato si strinsero attorno alla famiglia di Pinelli. Nel libro Una storia quasi soltanto mia, scritto con Piero Scaranucci, Licia Pinelli ricorda: «Sgridavo mia mamma perché aveva cominciato a piangere. Lo sforzo di non lasciar trapelare i sentimenti. Per non dargli la soddisfazione. È tanto più facile dimostrare i sentimenti. C’era tantissima gente se pensi alla paura di quei giorni, al linciaggio. Io mi ricordo di me stessa davanti alla fossa. Ho consegnato la bandiera nera da mettere sulla bara, ma ricordo soprattutto questa atmosfera pervasa di tragedia che aveva preso tutti».

Alcuni giornalisti – Camilla Cederna, Marco Nozza, Giampaolo Pansa – compresero e raccontarono subito quell’ombra nera, di violenza e intrighi, che avvolgeva il Paese. Franco Fortini, presente ai funerali con Vittorio Sereni e Giovanni Raboni, scrisse parole dolorose: «Il gelo del cimitero, la pietà dei canti stonati, delle bandiere sulla fossa ingiusta, la sera di noi gravati dal senso di un capitolo di storia che si chiude, di un triste futuro di persecuzione e di silenzi».

Presentazione annullata per l’uccisione di Calabresi

Il battesimo dell’opera di Baj era previsto il 17 maggio 1972 a Palazzo Reale. La presentazione fu annullata perché al mattino dello stesso giorno in via Cherubini a Milano era stato assassinato il commissario Luigi Calabresi, che aveva partecipato alle prime indagini sulla strage di piazza Fontana. Per quell’omicidio molti anni dopo furono condannati tre ex militanti di Lotta Continua. Il quadro di Baj finì nel dimenticatoio, nessuno ne parlò più in Italia mentre raccolse interesse all’estero: Rotterdam, Stoccolma, Dusseldorf, Ginevra, Miami, Locarno. Nel 2003 fu esposto all’Accademia di Brera. Baj, nel frattempo, aveva regalato l’installazione a Licia Pinelli, che però non poteva custodirla nel suo piccolo appartamento. I funerali dell’anarchico Pinelli finirono così alla Fondazione Marconi. Nell’estate del 2012 il Comune decise di mostrare l’opera alla città, nella bellissima sala delle Cariatidi a Palazzo Reale. Il sindaco Giuliano Pisapia commentò: «L’arte, quella vera, non minaccia nessuno: quello di Baj fu anzitutto l’omaggio al dolore di Licia, Claudia, Silvia, allo sgomento degli anarchici milanesi, del tutto alieni a ogni idea di violenza, ad ogni sopruso, ad ogni negazione della libertà dell’uomo». Passata l’estate del 2012, però, l’installazione di Baj è stata smontata ed è tornata in magazzino. Adesso è arrivato il tempo di trovarle una casa, nessuno può aver paura di ricordare l’ultima vittima della Strage di Stato.