I film sul lavoro che si dissolve:
un libro racconta 10 anni di battaglie

Sono stati dieci anni di crisi, in Italia e in gran parte del mondo. Con fabbriche chiuse, fabbriche esportate in altri Paesi, contratti annullati, il boom dei lavori precari. E dentro tale mastodontica trasformazione un esercito di donne e di uomini spesso in lotta, spesso disperati, poche volte vincenti, spesso avvolti in un’impenetrabile solitudine. C’è stato chi ha voluto romperla, far rivivere le loro storie, accendere le telecamere. Sono , Stéphane Brizé, Jean-Pierre e Luc Dardenne, Laurent Cantet, Robert Guédiguian, Michele Placido, Silvio Soldini, Gianni Amelio, Francesca Comencini, Daniele Vicari, Paolo virzì.

Una specie di “Quarto stato”

Ora un libro di Emanuele Di Nicola riassume, con accurata lucidità, questo specchio filmico della realtà del lavoro, lunga dieci anni, dal 2008 al 2018. Il titolo del volume “La dissolvenza del lavoro” (Ediesse), ha un duplice significato. Il primo riguarda il fatto che quella parola, “dissolvenza”, si usa nel linguaggio cinematografico per illustrare un’immagine che lentamente perde consistenza, sparisce. Il secondo ci dice che il protagonista, il lavoro, soprattutto quello carico di tutele e diritti, sembra altrettanto lentamente venir meno, dissolversi.

Il lungo e interessante racconto di Di Nicola passa attraverso sei capitoli: la disoccupazione, i precari, le donne, i lavoratori maturi, i manager, la metafora. É la riscoperta di una realtà ricca di significati diversi. Una specie di “Quarto stato” per usare il famoso quadro di Giuseppe Pellizza da Volpedo, rifatto per i nostri tempi ormai lontani dal 900.


Lo spogliarello di “Full Monty”

Sono personaggi che affrontano spesso le loro battaglie per difendere il lavoro con iniziative diverse, dando sfogo alla propria creatività. Non c’è solo lo spogliarello di “Full Monty” di Peter Cattaneo. Troviamo anche, ad esempio in “I lunedì al sole” di Fernando León de Aranoa, operai intenti a consumare al ristorante piatti costosissimi dicendo poi di non avere i soldi per pagare. Mentre in “Il posto dell’anima” di Riccardo Milani, un sindacalista propone un autofinanziamento attraverso la vendita della pasta tipica del luogo, insieme all’apertura di un sito internet chiamato “Operai incatenati”.

Sono passaggi intrecciati, capitolo per capitolo, da schede di documentazione politico-sociale, che fanno da sfondo alle diverse opere. Ricca di esempi la parte che raccoglie i film che hanno incontrato il mondo dei precari. “Siamo le migliori menti della nostra generazione” dice un protagonista di “Smetto quando voglio” di Sydney Sibilia, dedicato a un gruppo di ricercatori che creano una droga legale da spacciare.

É interessante notare, in questa estesa carrellata, come quasi sempre in queste vicende sia presente la solitudine operaia e spesso anche l’assenza del sindacato. Ovvero la presenza del solo sindacato di fabbrica e non dell’organizzazione esterna. È il caso di “7 minuti” di Michele Placido dove si è alle prese con la scelta padronale sugli orari che parrebbe minima ma non lo è.


“Sono un uomo, non un cane”

Un libro che coinvolge e fa pensare. Per chi ha visto quei film e per chi viene spinto a vederli. Una sintesi dei nostri anni difficili. Riassumibile con le parole del protagonista del notissimo e grande film di Ken Loach (“Io Daniel Blake”): “Non accetto e non chiedo elemosina. Mi chiamo Daniel Blake, sono un uomo e non un cane. Come tale esigo i miei diritti, esigo di essere trattato con rispetto”. Una dura dichiarazione. Fatta, possiamo dire, anche a nome di tutti gli altri protagonisti dei film sul lavoro. Che non vogliono dissolversi.