I mostri immaginari
sotto al letto
dei pentastellati
Ci sono bambini che la sera non si addormentano perché hanno paura dei Mostri. Allora le mamme li prendono in braccio e fanno fare loro il giro della stanza. Sotto il letto non c’è nessuno, nell’armadio ci sono solo vestiti, dentro le pantofole che spuntano sotto la tenda non ci sono piedi nemici. Tranquillo, bimbo, dormi sereno. Si dovrà fare così anche con l’onorevole Crimi? Il capopoliticofacentefunzioni dei Cinquestelle teme che dietro il MES varato dall’ Eurogruppo ci siano i Mostri.
Qualcuno dovrà prenderlo in braccio, metaforicamente s’intende, e fargli fare il giro dell’altrettanto metaforica cameretta dei suoi incubi. Incombenza da sbrigare presto, prima che il MES stesso sbarchi nel parlamento italiano. Bisognerà mostrargli che la sua idea che quello strumento “continui a essere insidioso nelle potenziali condizionalità future”, come ha sostenuto nella sua prima reazione a caldo, non ha fondamento, giacché 19 ministri economici e finanziari dell’Eurogruppo più il presidente Mário Centeno avranno pure qualche difetto (alcuni ne hanno molti, a dire il vero) ma è difficile pensare che si comportino come imbonitori che fanno il gioco delle tre carte. Se hanno messo per iscritto che l’uso del MES è privo di condizionalità (leggi qui) se non quella che i soldi vengano spesi per scopi di lotta al virus, gli si dovrà pur credere, o no?
Cavalli di battaglia pentastellati
Ma non è solo a causa delle “insidie” che il MES non piace al capo provvisorio dei Cinquestelle. Crimi, che di per sé conta assai meno della carica che ricopre, esprime però l’orientamento di tutto (o quasi) l’attuale gruppo dirigente del movimento, Di Maio in testa. Il MES è – nella versione crimiana del pensiero pentastellato – “uno strumento inadeguato per rispondere all’emergenza che stiamo attraversando” a causa della scarsezza della “quantità di risorse che può mettere in campo”.

Crimi, Di Maio e tutti gli altri dirigenti postgrillini sono liberissimi di ritenere che 37 miliardi (tanti ne potrebbe ottenere l’Italia) a tasso intorno allo 0,75 da restituire in dieci anni, siano “inadeguati” come bruscolini a un pranzo di nozze. Ma se uno dice che uno strumento è “inadeguato” significa che ha in mente una qualche alternativa. E l’alternativa non c’è. Dopo i soldi della BCE e il Quantitative Easing, la sospensione del Patto di stabilità e dei divieti agli aiuti di stato, il programma SURE per sostenere la cassa integrazione europea e prima del Recovery Fund sul quale si sta trattando, la messa in circolo dei 400 miliardi congelati nelle casse del MES è al momento l’unica risposta europea all’emergenza in fatto di liquidità. Non è che se quei soldi non vengono spesi ce ne sono altri da spendere in un altro modo. Essi restano semplicemente dove sono. O meglio: i nostri 37 miliardi restano dove sono, perché gli altri 18 stati dell’Eurogruppo le loro quote se le prendono eccome.
E allora, due o tre domande: se con il suo non possumus Crimi interpreta bene l’orientamento di tutto il gruppo dirigente pentastellato, quanto e come è destinato ad influenzare l’atteggiamento del governo? Le prime dichiarazioni del presidente del Consiglio sul fatto che “non tutti i dubbi sono stati chiariti” (ma quali, di grazia?) inducono a una certa preoccupazione. Il MES c’è, gli altri paesi ne faranno uso. L’Italia che farà? La chiarezza sarebbe necessaria fin da adesso, anche perché il governo di Roma è impegnato, intanto, su un altro fronte delicato, quello delle modalità di funzionamento del Recovery Fund.
Ma soprattutto, qual è la ratio politica del rifiuto dei vertici del movimento e delle pericolose indeterminatezze di Conte? L’impressione, diciamolo, è che si tratti di una stolida ossificazione delle posizioni espresse in passato. I Cinquestelle hanno fatto dell’opposizione al MES un loro cavallo di battaglia e lo hanno cavalcato con improvvido ardore sui sentieri dell’euroscetticismo e dei risentimenti contro “quelli di Bruxelles” che – almeno così pareva a loro – stavano dilagando nell’opinione pubblica. È un po’ quello che succede in un’altra pagina dell’agenda politica di questi giorni, quella della regolarizzazione degli immigrati da impegnare nei lavori agricoli e già impegnate nei servizi alle persone. Anche qui a una soluzione semplice, giusta, umana, logica, conveniente per tutti i Cinquestelle stanno opponendo un veto che pare proprio non avere altro motivo che la fedeltà alle anchilosi del passato. Un tempo parve che mostrare solidarietà e sentimenti umani fosse in contrasto con lo spirito dei tempi, che si ritenevano permeati di dilagante sovranismo. E allora via con i “taxi del mare”, con le lotte alle ONG, con le ipocrisie degli “aiutiamoli a casa loro”, con i voti in parlamento per salvare l’alleato dai tribunali. Trionfo delle semplificazioni del populismo, demagogia al posto della politica.
I rischi della demagogia
Ma la demagogia ha il grave difetto di rendere molto difficile ai demagoghi la scelta di tornare indietro, anche quando le circostanze lo imporrebbero. Sta accadendo con i migranti da regolarizzare e accadrà per il MES. I dirigenti pentastellati rischiano di doversi impiccare oggi alla furia ideologica con cui per mesi lo hanno rifiutato come strumento di Satana. E – cosa ben più preoccupante – lo stesso rischio lo corre anche Giuseppe Conte, il quale si troverà in serio imbarazzo il giorno in cui molto probabilmente dovrà spiegare alle Camere il perché si accinge a firmare quello che troppo spesso, in passato, aveva detto che non avrebbe mai accettato. Che cosa faranno, a quel punto, i “suoi” Cinquestelle? Gli voteranno contro? Si assumeranno la responsabilità di una crisi di governo aperta per rifiutare una quantità di soldi che l’Europa vuole darci senza pretendere alcunché in cambio? I sovranisti duri e puri questo problema non ce l’hanno: possono sparare allegramente senza il rischio che le pallottole tornino indietro e li colpiscano di rimbalzo. Ma che effetti avrebbe sul consenso popolare del movimento un voto che priverebbe l’Italia di un bel po’ di soldi e rischierebbe di mettere in crisi il governo nel bel mezzo dell’epidemia?
Un’ultima osservazione merita un’altra opposizione all’utilizzo del MES da parte italiana: quella che viene da sinistra. Diversi politici ed economisti d’orientamento progressista hanno chiesto al governo Conte di non aderire con una motivazione più politicamente fondata, almeno all’apparenza, di quella dell’euroscetticismo di destra. Anche se dovesse essere garantita la non condizionalità – hanno sostenuto in un appello redatto quando questa garanzia non era ancora scontata – l’Italia farebbe bene a non lasciarsi coinvolgere perché dovrebbe evitare di esporsi alle misure punitive che accompagnerebbero, nella logica della disciplina di bilancio severa dominante finora, un ulteriore aumento del nostro debito. Torneremmo insomma ad essere vittime del ricatto dell’austerity.
Preoccupazione giustissima. Ma anche qui vale la logica della mancanza di alternativa. Coloro che hanno firmato l’appello sono in grado di indicare un modo in cui l’Italia possa sostenere le spese necessarie per la lotta al virus senza aumentare il deficit e il debito? Non sarebbe meglio cominciare, piuttosto, a prepararsi alla battaglia politica che, passata l’emergenza, si riaccenderà sul modo in cui l’Europa deve gestire le proprie risorse e orientare le proprie politiche? Qualche segnale di un mutamento radicale di indirizzo sta venendo nel fuoco di questa crisi gravissima, con la messa in campo da parte delle istituzioni di Bruxelles e Francoforte di una formidabile potenza di spesa e con una certa disponibilità a rendere il bilancio comunitario un vero strumento di spesa collettivo. Forse è su questo che la sinistra dovrebbe concentrare la propria iniziativa.
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