Guido Rossa, figlio del mondo del lavoro
e della sinistra che vinse il terrorismo
In occasione del quarantesimo anniversario della morte di Guido Rossa assassinato dalle Brigate Rosse, la Fondazione Di Vittorio, la Camera del Lavoro di Genova e il Sindacato dei pensionati della Liguria hanno promosso la pubblicazione del libro da me curato, edito da Il Canneto e intitolato Una democrazia in pericolo. Il lavoro contro il terrorismo che si avvale della prefazione di Susanna Camusso.
Il volume approfondisce il ruolo svolto dalla Cgil e dal Pci nella complessa stagione del terrorismo e dello stragismo in Italia. Si avvale della lettura critica dei principali studi apparsi in questi anni, dell’imponente patrimonio documentario costituito dalle carte giudiziarie e parlamentari, dall’ampia memorialistica di molti dei protagonisti, nonché della numerosa saggistica apparsa sulla stampa quotidiana, sui periodici nazionali e locali, sulle principali riviste storiche che integra, con il ricorso spesso inedito, alle fonti di provenienza sindacale. Questo intreccio consente di offrire un quadro problematico del complesso rapporto che il terrorismo finisce con il determinare nei fondamenti della concezione duale del rapporto sindacato-partito rispetto al mondo del lavoro.
Di fronte all’irrompere del fenomeno terroristico la Cgil e la rappresentanza partitica sono “costretti” ad affrontare in maniera inedita il tema dell’autonomia organizzativa e decisionale ben oltre la tradizionale divisione di compiti e di funzioni in materia di politica economica e di concezione ideologica della trasformazione della società capitalistica.
L’autonomia, alla prova della violenza militarizzata e del terrorismo, diviene un terreno concreto e impervio sul quale e dal quale nascerà un rafforzamento per la Cgil, e per il movimento sindacale nel suo insieme, delle ragioni stesse della propria cultura centrata storicamente sul rifiuto dell’eversione e sull’affermazione dell’alterità fra le forme dell’organizzazione, della lotta sindacale e le forme dell’azione eversiva e violenta.
In questo senso la vicenda del terrorismo avrà per la Cgil una straordinaria importanza come occasione per riacquisire e riaffermare con forza, coerenza e lucidità strategica questo carattere storico ineliminabile dell’identità del sindacalismo italiano rispetto alle altre forme di azione e di rappresentanza del mondo del lavoro. Ed è per questo che l’importante funzione di stimolo che il gruppo dirigente del Pci manifesterà nell’individuare nel terrorismo un nemico della classe operaia, oltre che della democrazia repubblicana, troverà nel corpo ampio dell’organizzazione confederale, dai vertici ai delegati delle fabbriche, una risposta non solo politica ma una rivendicazione di identità valoriale che finirà con il condizionare anche le scelte e i comportamenti dei militanti comunisti.
L’esempio luminoso di Guido Rossa è appunto la testimonianza di questa complessa interazione tra riaffermazione delle ragioni dell’agire sindacale con la necessità di coniugare la militanza comunista nei luoghi di lavoro alla logica e ai valori del sindacalismo confederale.
I due poli strutturali attorno ai quali si sviluppa il libro sono dunque, da un lato, la Cgil, intesa come singola organizzazione e dall’altro il Pci, inteso nelle sue forme di organizzazione nazionale. Sono approfondite anche alcune realtà territoriali particolarmente significative, come Milano, Torino e Brescia attraverso l’analisi comparata delle fonti sindacali relative alle Camere del lavoro e delle fonti relative alle Federazioni comuniste delle suddette città. Milano e Torino, in particolare, costituiscono una sorta di laboratorio, di palestra, per la nascita e l’articolazione del partito armato all’interno delle grandi fabbriche, ma al tempo stesso anche per il lavoro politico e culturale di lotta al terrorismo da parte della Cgil e del Pci. Le reazioni della società, dei partiti, del movimento sindacale e dello Stato di fronte all’attacco terrorista sono state a lungo assenti o decisamente inadeguate. Tali posizioni sono determinate, per quanto riguarda il terrorismo di sinistra, dai consensi, dalle “simpatie”, dai ritardi culturali presenti negli stessi ambienti del mondo comunista e del movimento operaio e sindacale, dalla sottovalutazione, quindi, della pericolosità di molti gruppi politici e della loro narrazione, e, per quanto riguarda invece la sua declinazione neofascista, dall’inerzia, dall’inefficienza, quando non dalla collusione, di alcuni settori degli apparati di sicurezza. Partendo dall’assunto che è molto difficile tracciare uno schema rigido nel rapporto causa-effetto, un’analisi del fenomeno non può prescindere dal considerare entrambi i fronti del terrorismo. Questi infatti hanno in comune, oltre al tragico bilancio di vite umane spezzate, il pesante condizionamento esercitato sulla vita politica del Paese.
Per una corretta valutazione è molto importante chiarire che tipo di emergenza rappresenti per il sindacato italiano e per il Pci la stagione del terrorismo. Il movimento sindacale, in particolare la Cgil, e il Partito comunista-percependo la sovraesposizione delle istituzioni al rischio di un collasso democratico- sono convinti di doversi occupare direttamente della difesa dell’ordine pubblico. Da una parte c’è il vecchio sogno dei comunisti italiani di potere “controllare le questure”, di gestire in prima persona l’ordine pubblico, inteso come massima espressione del potere dello Stato- idea che rimanda alle eredità della tradizione leninista-; dall’altra la totale identificazione dei comunisti italiani nella Costituzione Repubblicana e nella sua difesa. In un regime di “democrazia bloccata”, quale si era configurato dal 1948 e con il rischio di essere messi fuori legge, i comunisti individuano, infatti, nel perimetro costituzionale il loro solo spazio di agibilità democratica.
Il libro ripercorre le modalità con cui il mondo del lavoro e la classe operaia in particolare percepiscono la gravità della situazione e soprattutto individuano la corretta modalità con cui possono e debbono svolgere il loro ruolo di maggior aggregato sociale a presidio della libertà e della democrazia. Ci si è soffermati ad analizzare il comportamento degli operai a garanzia e difesa delle massime istituzioni ricostruendo il sistema di “intelligence” messo a disposizione delle istituzioni di sicurezza da parte della Cgil e del Pci e che sarà determinante nel contrasto al terrorismo. Da questo elemento si ricava un dato politico “straordinario”: a presidio delle istituzioni vengono chiamate delle forze che, di fatto, erano ancora considerate-da buona parte delle gerarchie militari ad esempio-“nemiche”. I funerali di Stato a Brescia, dopo la strage di Piazza della Loggia, rappresentano, da questo punto di vista, un esempio paradigmatico. Sono gli operai, e non le forze di polizia, a garantire e gestire- con al braccio delle “speciali fascette”- la sicurezza del Presidente della Repubblica e il servizio d’ordine in città. La mobilitazione nelle piazze e la forza della reazione democratica sono un fattore decisivo per la conclusione di quella strategia della tensione che ottiene un risultato differente da quello cercato: il consolidarsi del sindacato come soggetto indispensabile per la difesa della democrazia, anche se gli anni successivi non vedono certo la fine dei progetti eversivi, ma solo una loro trasformazione.
Una democrazia in pericolo. Il Lavoro contro il terrorismo (1969-1980) Ed. Il Canneto
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