Urla e conformisti a casa di Aldone
ma almeno la tv non era melassa
Un personaggio che ha fatto, nel bene e nel male, la storia della nostra tv: Aldo Biscardi. L’epicedio migliore lo ha cantato proprio quello che veniva giudicato il suo più severo censore: “Scrivo da soccombente, scrivo come può scrivere uno che ha detto tutto il male possibile del Proqcesso. Il fatto è che al Processo abbiamo tutti sacrificato qualcosa, sovente la parte di noi che stimiamo temerariamente la più nobile, l’intelligenza. Ho perso, il Processo è più vivo che mai (nel frattempo è trasmigrato in altri programmi) e a me non resta che il privilegio del punto di vista dello sconfitto. Riconosco però che Biscardi è stato l’inventore del calcio parlato. Non importa se a spese della grammatica”. Firmato Aldo Grasso.
Ha digerito e travolto ogni cosa, Biscardi, morto a Roma a 87 anni. Ha persino intenerito il critico del Corsera che non lo aveva mai risparmiato e che ora gli ha reso l’onore delle armi. Aldo Biscardi con il suo Processo del lunedì è andato oltre Beautiful e il Posto al Sole (una volta in una intervista disse che lui festeggiava il trentesimo anno di trasmissione, aggiungendo: “Maurizio Costanzo è arrivato a 25 e il grande David Letterman è fermo a 24”). Forse ha finito per ingurgitare la sua stessa creatura, quel Processo, una soap ultratrentennale di cui si erano perse le tracce da quando il Rosso aveva dovuto gettare la spugna, abbandonare La7, costretto da Marco Tronchetti Provera, interista ai vertici del network all’epoca dello scandalo di Calciopoli. Era il maggio 2006 e Biscardi comparve nella trascrizione di alcune telefonate con Luciano Moggi. Lucianone diceva (a lui e soprattutto all’ex arbitro Baldas che mostrava e commentava le immagini delle partite e le decisioni degli arbitri in studio) che cosa far vedere al Moviolone, la macchina infernale inventata dal giornalista per accendere le risse in tv, quali arbitri assolvere e quali bocciare a seconda se avessero danneggiato o meno la sua Juve. Biscardi fece una ultima trasmissione per rovesciare il tavolo, dimostrare che lui era una persona pulita, che in trasmissione faceva il contrario di quanto gli veniva suggerito da Moggi. Un teatrino inutile e triste. Si chiudeva un’epoca. Inesorabilmente.
Il chiasso del “biscardismo”è impazzato a lungo. La formula della rissa ha innalzato gli ascolti per poi tracimare ovunque. Ma il marchio è il suo. Di Aldo Biscardi. Lui ha inventato un genere televisivo che è rimasto. La Terza Rete, come si chiamava allora, cioè alla fine degli anni Settanta, aveva bisogno di farsi vedere, non aveva audience. Aveva bisogno di qualcosa che attanagliasse il Paese al video. Come prima era avvenuto per Lascia o raddoppia? o Campanile sera. La tv nazionalpopolare, secondo la definizione di Enrico Manca (e non era un complimento), trovava nel calcio e in Biscardi i più grandi interpreti. Scippata l’idea, si disse, ad Enrico Ameri (ma in una intervista di Andrea Marcenaro su Panorama confutò questa cattiveria: “L’idea me la diede Gianni Rodari quando scrisse: ‘Biscardi parla di una partita di calcio come fosse un processo’.”), Aldo il Rosso – e non solo per quella improbabile tintura color mogano rossiccio sulla testa – ottenne il placet di Alessandro Curzi, da cui dipendeva, e di Angelo Guglielmi. Il Pci aveva piazzato uomini e idee su poltrone e nei palinsesti. E con questi anche Biscardi, che veniva da quel grande quotidiano che fu Paese Sera. Il giornalista molisano praticò la par condicio ben prima che venisse codificata: se una sera da lui andava Andreotti, la puntata successiva chiamava D’Alema. E poi Berlusconi, al telefono, in trasmissione, ovunque.
Primo settembre 1980, lunedì, Santo Egidio Abate, ore 22,45: l’epifania del calcio parlato, il Bar Sport, la lite continua sul rigore dato e sul fuorigioco non fischiato. Vai con Il Processo del lunedì (fuori dalla Rai, poi si chiamerà Il Processo di Biscardi). Nord contro Sud, la Roma contro la Juve, la moviola, gli arbitri, le scommesse, il Mundial. Prima concesse ad Ameri, a Novella Calligaris, a Marino Bartoletti e a Marina Morgan di presentare il programma, poi avocò a sé ogni cosa. Lui unico dominus della trasmissione. Che poi non era un processo. Anzi spesso non era niente. Più urlavano e litigavano i suoi ospiti, più la materia del contendere non c’era. Però quelle urla portavano ascolti, audience come si diceva e si dice tuttora, titoli sui giornali, polemiche infinite che cominciavano in tv e continuavano al bar, in Parlamento, al mercato. Ascolti, attenzione della gente, pagine di carta stampata quando ancora contava finirci. Poi, molto più di recente, un posto fisso nei Blob di Ghezzi e Giusti; oppure nei Mai dire gol della Gialappa’s: più quelli sfottevano, più Aldone si issava a protagonista. Più aggettivi e pronunce sbagliava, più menava vanto. Più sgub, mel e denghiù pronunciava, più verbi e aggettivi stroppiava, più si sentiva al centro della scena. Si può dire: lui e Gianfranco Funari sono stati i grandi talenti della comunicazione. E, d’altro canto, come si sa, l’audience non si coniuga, molto spesso, con la qualità dei programmi.
Tuttavia, nei primi dieci anni di vita, diciamo fino a quando è rimasto in Rai, metà anni Novanta, il Rosso è riuscito ad attirare a sé giornalisti ed intellettuali, uomini di spettacolo e politici, sportivi e calciatori di primo piano. Da lui sono passati tutti: da Carmelo Bene a Gianni Brera, da Giovanni Arpino ad Alberto Bevilacqua. Accanto a costoro una cerchia di urlatori, giornalisti, tuttologi, polemisti di professione che via via si è allargata sempre di più ed ha preso possesso della trasmissione, con grande soddisfazione del padrone di casa. Le urla tra Maurizio Mosca, Pasquale Squitieri e Vittorio Sgarbi sono arrivate dopo, quando a queste sceneggiate non ci credeva più nessuno. O comunque quando il gioco era ormai scoperto. Perché dietro la rissa verbale, c’era il vuoto cosmico. Anzi il litigio sembrava abilmente costruito, preparato e servito dallo stesso Biscardi, offerto su un vassoio d’argento ai vari Cazzaniga, De Cesari e lo stesso Mosca. La chiacchiera alla fine ha strozzato la chiacchiera. Le urla si sono rivelate, a lungo andare, gemiti scomposti. I minacciati sfracelli contro il Potere si sono alla fine ridotti a mansuete richieste fatte senza disturbare il manovratore. Bim, bum, bam. Ad un certo punto arrivava il presidente, l’arbitro o il fuoriclasse contestato e tutti a lisciare il pelo, tutti zitti e pronti a stendere tappeti rossi. Grida e conformismo. Un po’ come si è visto fare Santoro e Travaglio ricevendo Berlusconi (a proposito di Santoro, una volta Biscardi disse del buon Michele ” l’ho lanciato io, ho sempre sostenuto Samarcanda quando stavo a RaiTre”).
Però se si assiste a certe trasmissioni di oggi (vero Sky?), dove mai qualcuno si azzarda a mettere una virgola fuori posto, e quasi mai un altro osa dubitare di qualcosa, dove tutti sembrano degli ordinati soldatini nella loro mise giacca e cravatta, dove mai ci scappa una esclamazione, una mala parola, (a Sarri, da buon toscano, ogni tanto sfuggono: e tutti a bacchettarlo), non volgarità si intende, e tutto sembra una melassa viscida, un pacco infiocchettato, beh , allora, viva Biscardi.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati