Gli edili a congresso:
si introduca il reato di omicidio sul lavoro
“Si muore in parete, si muore in cava. Si muore al piano e si muore nei piazzali di carico e trasporto. Accanto ai nostri edili che continuano a morire come quaranta anni fa, cadendo dall’alto, con una crescita nei primi 6 mesi del 2018 di oltre il 50% degli infortuni mortali, dopo i 141 morti in cantiere del 2017 (dati Inail) e con un aumento delle malattie professionali denunciate di oltre il 20%, anche i lavoratori del lapideo stanno sempre più pagando con la vita il loro diritto a lavorare”. È uno dei passaggi della combattiva relazione di Alessandro Genovesi, segretario generale, al Congresso della Fillea-Cgil. Uno dei numerosi congressi delle categorie che si stanno tenendo in questo fine d’anno e che hanno una specie di coronamento a Copenaghen dove forse, fra qualche giorno, Susanna Camusso sarà eletta segretaria generale dalla Confederazione sindacale internazionale.
Quello degli edili è un settore particolarmente martoriato. 10 anni di crisi hanno comportato la perdita di 600 mila posti di lavoro e la scomparsa di 120 mila aziende. Sono state colpite, rammenta Genovesi, grandi imprese e cooperative (Condotte, Astaldi, Cmc, GLF, Toto, ecc.), strategiche per l’economia nazionale. E con loro “migliaia di operai, tecnici, impiegati… un patrimonio di professionalità e conoscenze”. Eppure ci sarebbe molto da fare. Il sindacato propone un “Piano Straordinario per la messa in sicurezza del territorio”, nonché il completamento di grandi opere: dal Terzo Valico alla Gronda, dalla Tav alla Napoli Bari, dalla Siracusa-Gela alla 106, dalla Sassari Olbia ai grandi nodi per la mobilità urbana. La Fillea chiede a Palazzo Chigi “l’istituzione di un tavolo per una strategia di rilancio del settore, con il ruolo attivo del Governo”. E se non arriveranno risposte, sarà organizzata con Feneal Uil e Filca Cisl una grande manifestazione degli edili a Roma.
Questa grande componente del lavoro italiano, come succede in altri settori, mostra facce diverse e potenzialità diverse. “Il cantiere può essere il luogo dell’innovazione”, sottolinea Genovesi. “Il vero cambiamento verrà con lo sviluppo delle batterie in grado di trasformare l’edificio in una centrale elettrica….L’industrializzazione farà del cantiere un luogo di montaggio con le caratteristiche di una fabbrica digitale”. Progetti avveniristici che convivono con modelli di impresa poveri, con il ricorso esasperato al cottimismo, con cantieri senza un bagno, senza uno spogliatoio, senza una mensa. Con “caporali ed imprenditori senza scrupoli”.
E’ un’Italia in bilico quella che scaturisce dal congresso. Con giudizi severissimi sull’attuale governo ma anche sulla sinistra politica. “Mai come oggi siamo alle prese con una centralità ideologica dell’impresa, con una perdita di egemonia del mondo del lavoro organizzato e della sinistra (sia in chiave anticapitalista che in chiave socialdemocratica)”. C’è anche un duro giudizio su certe posizioni presenti nel sindacato: “non può cavarsela teorizzando una sorta di indipendenza o neutralità da quanto avvenuto”. Con un invito a occuparsi delle sorti della politica: “dobbiamo accettare le sfide del cambiamento, metterci in discussione, essere lievito – sempre nella nostra autonomia – per la ricostruzione di un campo politico progressista. Diversamente rischieremo di chiuderci in “fortini” che, alla lunga, non reggeranno”. La Cgil, con Cisl e Uil, secondo Genovesi, “deve oggi contrapporsi alle derive politiche, culturali ed istituzionali…proponendosi, senza facili scorciatoie, come un baluardo contro ogni chiusura, ogni razzismo, ogni deriva populista, ogni semplificazione”.
E’ interessante notare come Alessandro Genovesi era tra quanti, in una recente riunione del Comitato Direttivo confederale avevano evidenziato perplessità sulla proposta avanzata dalla Camusso e dalla maggioranza della segreteria per una candidatura di Maurizio Landini come successore della Camusso stessa. Nella relazione congressuale l’argomento viene affrontato con parole distensive: “Non vi sono nemici o avversari. Tra noi non devono esserci tifoserie, ma compagne e compagni portatori di culture e pratiche sindacali diverse, che vanno tutte rispettate perché ci arricchiscono e ci permettono, attraverso la democrazia delegata, di essere una grande organizzazione di massa e non una piattaforma su internet”.
Genovesi affronta anche, con lucidità, il tentativo di etichettare con formule diverse i sostenitori o di Landini o di Colla: “il pluralismo è qualcosa che va oltre la distinzione tra riformisti e radicali, se hanno ancora un senso queste etichette, guardando anche ai recenti contratti o alle pratiche sindacali. E’ pluralismo tenere conto che fare i sindacalisti al Nord non è come farlo al Sud. E’ pluralismo la differenza tra lavoro pubblico e lavoro privato, tra generi, tra generazioni diverse. E’ pluralismo quello dei migranti, è pluralismo avere a che fare con i grandi complessi industriali o con il lavoro diffuso”. L’invito è ad “evitare facili scorciatoie o ricette salvifiche”. Tutti dovrebbero e “mettere a disposizione le nostre intelligenze e le nostre capacità dentro un percorso che sia il più collettivo e plurale possibile…
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