Giusti i premi a Dogman, Borghi e Moretti
(e fate tacere le ciance sui social)

Credo di dovere, ai nostri lettori, due piccole premesse.

La prima: da quest’anno, su richiesta della presidente Piera Detassis, sono membro dell’ampia giuria (composta soprattutto da cineasti e professionisti del settore, ma anche da giornalisti) che vota per i David; quindi sono – del tutto marginalmente – parte in causa.

La seconda: non ho seguito in diretta la cerimonia di ieri sera, ne ho recuperato dei brani online. E mi sono naturalmente informato subito sui risultati, esultando soprattutto per la vittoria di Alessandro Borghi fra gli attori e di Nanni Moretti fra i documentari. Ma sulla cerimonia, proprio perché NON l’ho vista, vorrei dire due cose.

In primis, simili cerimonie sono di per sé noiose e risultano interessanti solo per chi è direttamente coinvolto. È facile sparare sulla Rai, su Carlo Conti, sulla Croce Rossa, su chi vi pare: ma pregherei il plotone di esecuzione di rivedersi (se ne ha tempo, voglia e coraggio) le cerimonie degli Oscar da quando, anche esse, vanno in tv. L’Oscar è probabilmente lo spettacolo televisivo più palloso nella storia del mondo. Lo sfarzo è innegabile e i nomi coinvolti sono ovviamente planetari, eppure ogni anno l’Academy riesce a peggiorare, soprattutto da quando le esigenze del MeToo, del Politically Correct e della par condicio etnica hanno tolto ogni potenzialità comica e polemica alla manifestazione. E consiglierei ai suddetti fucilieri di riflettere sul fatto che l’UNICO momento degli ultimi Oscar che rimarrà, forse, nei ricordi di qualche spettatore è stato dovuto alla presenza di Lady Gaga, cioè di una signora che di mestiere non fa l’attrice. Almeno il David è più breve e non ha, per ora, simili problemi. Da segnalare che la cerimonia di ieri sera è stata vista da 2.975.000 spettatori con il 15% di share: per il premio è un risultato ottimo, per la prima serata di Raiuno è un risultato medio (forse medio-basso).

In secundis, come direbbe Totò, c’è una cosa molto più penosa della cerimonia: i commenti social in diretta di addetti ai lavori o di semplici curiosi. Quelli, un po’, li ho seguiti. E sono sprofondato nello sconforto. Bisognerebbe chiudere i social DURANTE questo tipo di spettacoli (un po’ come durante Sanremo). Questa usanza di guardare la tv e, contemporaneamente, usare il computer o lo smartphone per comunicare al mondo le cazzate che normalmente avremmo detto in famiglia è una delle sciagure del nostro tempo. Forse bisognerebbe chiudere i social tout court, ma questa è un’altra storia.

Detto che, se si sente l’esigenza di una diretta Rai, il problema è sostanzialmente irrisolvibile, veniamo ai premi. Il commento sarà breve, secco, senza fronzoli.

Dogman è, a parere di chi scrive, il miglior film italiano del 2018 e ha meritato i premi vinti.

Lazzaro felice di Alice Rohrwacher è un ottimo film ed è un peccato che non abbia vinto nulla, ma può capitare.

Il passaggio romano di Tim Burton e di Uma Thurman non resterà, diciamo così, nella memoria collettiva.

È abbastanza singolare che Dogman abbia vinto molti premi ma non quello al miglior attore, Marcello Fonte, che l’anno scorso era stato premiato a Cannes. È come se il film avesse una percezione diversa all’estero rispetto all’Italia (ricordiamo che era stato candidato all’Oscar, ma non è entrato in cinquina). Può dispiacere per il bravissimo attore, ma bisogna prendere atto che aveva di fronte un rivale formidabile: Alessandro Borghi è incredibile in Sulla mia pelle, e sulla sua vittoria avremmo scommesso qualunque cifra. La sua adesione – fisica, psicologica e oseremmo dire “civile”, da cittadino – al ruolo di Stefano Cucchi è qualcosa che va al di là della “semplice” arte della recitazione, diventa al tempo stesso un grido di dolore e una denuncia sociale. Crediamo che il premio a Borghi sia sacrosanto, come quello a Nanni Moretti per Santiago, Italia: un documentario di cui abbiamo già parlato anche in questa sede, e che – come Sulla mia pelle – è, in questa Italia, più di un film. Da sempre il cinema italiano è grande perché sa produrre opere che hanno un impatto civile e politico, oltre che artistico. Questa edizione del David di Donatello ha, se non altro, ribadito questa grandezza.