Giù le mani dall’Emilia-Romagna: sulla ricostruzione una destra famelica fa la guerra a Bonaccini
I precedenti non mancano e sono chiarissimi. Ne citiamo solo alcuni: Vasco Errani nominato commissario per il terremoto in Emilia Romagna, Giovanni Toti stesso incarico dopo il crollo del ponte Morandi, Luca Zaia scelto per il rischio idrogeologico del Veneto. Chissà quanti altri casi ci sono stati in passato. Eppure oggi, forse, non sarà così. Si legge delle resistenze, molto significative, alla nomina di Stefano Bonaccini a Commissario per i vasti interventi resi obbligatori e della massima urgenza a causa delle inondazioni in Romagna. Si dice che la resistenza maggiore, dentro l’area della maggioranza di governo, venga dalla Lega, ma c’è anche dell’altro.
L’assalto della nuova classe dirigente
In tutti i campi, dalle nomine negli enti economici alla Rai, si fa avanti una nuova classe dirigente. Sono gli eredi, dentro Fratelli d’Italia, di una tradizione organizzativa e formativa di partito, non meno caratteristica di quelle nate dai partiti storici della sinistra. I commis di questa leva vogliono tutto, e incalzano probabilmente il loro stesso governo. Una classe di non eccelsa qualità ma famelica, perché molto convinta di sé. La Lega è più sguarnita e può vantare, nel gioco delle nomine, ripetuti fallimenti.
A favore di Bonaccini si è sentita la voce di qualche collega presidente Regione. Ma i tentativi di creare un fronte comune delle Regioni rispetto al governo centrale appartengono a un’epoca diversa e tramontata, risalgono a quando il centro-sinistra aveva più posizioni e tirava l’aria di una egemonia binaria Bonaccini-Zaia. Giorni ormai lontani.
Cosa accadrà si vedrà, ma certo la partita ha un’importanza significativa.
È in gioco molto, anche a destra, molto per il Paese, moltissimo per le province colpite. Ciò che rende debole il centro-sinistra è innanzitutto il fatto di non esistere come tale, come schieramento di più forze.
Il Fatto quotidiano non rinuncia al suo “opposizionismo”, più simile al qualunquismo che non alla tenace durezza di una sinistra d’antan, nonostante siano proprio i voti più radicali quelli che insegue Giuseppe Conte. Il Fatto incalza l’ex premier per allontanarlo dal PD: uno schema che si riproduce su ogni grande questione. Dal M5S, quindi, non vengono aiuti, per ora, al presidente emiliano-romagnolo, al di là di una dovuta solidarietà nel Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna.
Ma una qualche debolezza sorge dalla natura stessa del dramma delle alluvioni e delle frane. L’Emilia-Romagna ha fatto più di molte altre Regioni, nei decenni passati, contro il dissesto idrogeologico e per ridurre il consumo di suolo. Ma, nonostante una forte insistenza nelle parole d’ordine e nei programmi istituzionali, non si è verificata la transizione ad un’epoca di governo completamente nuova dettata dall’agenda ambientale.
Bonaccini e Schlein, quando era la sua vice presidente, hanno mutato il Piano per il lavoro, l’asse delle politiche di mandato, in un Piano per il lavoro e l’ambiente, ma siamo ai primi passi di un cambiamento che, se concreto, sarà costosissimo e comunque difficile e doloroso. Non è ancora emersa una identità, condivisa socialmente, che faccia perno sul contrasto al cambiamento climatico.
Perché non va bene un commissario “foresto”
La campagna spudorata dei media della destra ha trovato qualche spazio. Prima: contrabbandando l’esempio di un Veneto più efficiente dell’Emilia-Romagna, Quel Veneto assediato dalle decine di migliaia di tronchi divelti dal ciclone Vaia e che ha, com’è naturale e come sarebbe a parti inverse, chiesto e ottenuto l’aiuto della Regione di Bonaccini per smaltirli.
Poi, con i propri consueti argomenti, l’informazione di destra ha presentato l’immagine dei cittadini colpiti come abbandonati e rabbiosi. La voce delle persone disperate è stata confusa, volutamente, in un indistinto rifiuto. Nel frangente del terremoto queste manovre non riuscirono.
Anche oggi trovano risposte, nel lavoro dei soccorritori e nell’abnegazione dei volontari. Bonaccini e i sindaci sono, con tutta evidenza, al lavoro. Ma oggi è più difficile di ieri organizzare la parte che vuole ricostruire e però cambiare le scelte ambientali.
Sbaglierebbe chi volesse esimersi dalla battaglia per avere, qui, in Emilia-Romagna il coordinamento degli interventi. Lepore, il sindaco di Bologna metropolitana, oggi interviene, opportunamente. Già lo testimoniano i primi fatti. Il decreto è stato varato dal governo in tempi brevi, non va ostacolato in Parlamento, ma non basta, in alcun modo. Le udienze romane delle categorie non devono trasformarsi in pellegrinaggi. Purtroppo qualcuno lo abbiamo già visto, con il corredo di frasi inneggianti al governo amico. Roba da ancient regime.
Un commissario “foresto” sarebbe l’espressione e probabilmente la realizzazione di un modo di governare elargitorio e padronale.
Chiedere che sia Bonaccini il commissario non riguarda solo la sua persona. Qui si rischia di passare da un federalismo esibito al governo dei commissari e dei prefetti, proprio mentre si porta avanti una autonomia differenziata che può spaccare il Paese. Non c’è contraddizione: vogliono un’Italia divisa, dove anche il fisco si pieghi alla differenziazione fra sommersi e salvati, con tasse piatte per alcuni e servizi tagliati per chi ne sopporta il peso, un’Italia centralista e ingiusta dove chi vuole deve pregare un favore non esigere un diritto.
Il contrario di un Paese moderno, plurale e costituzionale.
La questione della nomina del commissario va oltre, dunque, persino la malcelata cupidigia di appropriarsi dell’Emilia-Roimagna. Sono passati molti decenni ma non è male ricordare quando Giuseppe Dozza divenne un punto di riferimento nazionale, ben oltre la sua parte politica, per aver condotto la battaglia per l’autonomia solidale dei Comuni italiani. I Comuni all’opposizione, così li chiamò. Il diluvio non ha maggioranze e opposizioni, ma la democrazia ne ha bisogno, sempre.
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